Alla scoperta di Carrodano,tra i ricordi di Coppi e i misteri del 1945
Città della Spezia, 23 ottobre 2022
UN PUNTO DI SNODO
Il nome Carrodano rimanda immediatamente a un casello autostradale della A12, Carrodano – Levanto. Il casello è maggiormente utilizzato da chi si reca a Levanto e nell’area costiera, ma è l’occasione anche per scoprire una suggestiva località delle Terre Alte, costituita da alcuni borghi: Mattarana, Carrodano inferiore, Carrodano superiore e Ferriere sono i principali. Il nome del casello non è comunque casuale, sintetizza idealmente diversi secoli di storia e un solido legame. Un solo esempio: la frazione di Carrodano che si sta più ripopolando è Piana, una delle più vicine a Levanto, grazie proprio a levantesi che cercano case a minor mercato o maggiore tranquillità. L’economia di Carrodano, del resto, è sempre più turistica, legata a Levanto e alla riviera. Anche il rapporto con Framura, Deiva Marina e Sestri Levante è sempre stato, nel corso della storia, intenso. Carrodano era il punto di snodo tra le località della Riviera e quelle dell’alta Val di Vara, attraverso Ziona-Carro-Castello, e della bassa Val di Vara, attraverso Brugnato. Vi si arrivava quindi da più punti, sia dall’alto che dal basso, lungo l’Aurelia. Era uno dei paesi lungo la “strada del Bracco”, che prima dell’autostrada era la via obbligata di collegamento tra Genova e Spezia.
A farmi da guida non può che essere Pietro Mortola, “il sindaco”: fu eletto per la prima volta nel 1990, è il più longevo della provincia. Ha con sé le copie del libro di Egidio Banti, da poco pubblicato, “Carrodano. Viaggio attraverso il territorio. La storia, la tradizione la cucina e tante immagini della sua bellezza di ieri e di oggi”, utilissimo strumento per la visita e poi per la redazione dell’articolo.
MATTARANA
La prima tappa è Mattarana, che ammirate nella foto in alto. Il clima è mite, favorito dalla vicinanza al mare e dal fatto che il borgo è adagiato sul versante collinare più soleggiato. Non a caso Mattarana ha sviluppato più delle altre frazioni la vocazione turistica. Da lì si può partire anche per escursioni nelle montagne, il monte San Nicolao in primis, che è il monte principale anche per Carrodano: non a caso la sua immagine è riportata nello stemma. Ne ho scritto nell’articolo “Carro tra boschi e cultura” del Diario del 2021, il 17 ottobre. Consiglio ancora l’escursione, la visita ai resti dell’antico ospitale, il panorama straordinario che si gode della vetta.
Mattarana è un borgo curato e pulito, pavimentato in pietra, come tutti gli altri del Comune. Le case sono accatastate una vicina all’altra e si avviano in alto verso la chiesa di San Giovanni Battista, intonacata di un rosa tenero, tipicamente ligure. Sul retro è un alto campanile, con la cupola coperta da “ciape” in pietra arenaria. Alle spalle ancora poche casette, poi la montagna. La chiesa è ottocentesca, l’interno è ricco di affreschi e statue. Gli altari in capo alle due navate laterali sono dedicati a Santa Lucia e alla Madonna della Salute. Non sono grandi tesori, ma l’insieme è molto interessante come manifestazione della cultura religiosa dei piccoli centri di carattere rurale. Mi fanno da guide Silvano Baretta e Franco Cottone. Alla chiesa ha dedicato un bel volume, ricco di informazioni storiche e artistiche, Erminia Tropea Mayer, insegnante svizzera innamorata della Val di Vara. Mattarana è una balconata: la vista è molto bella, da un lato sul monte Gottero e l’Alta via, dall’altro sulle Apuane. Ma è così anche, sia pure in modo diverso, da Carrodano Superiore e Inferiore, “Soprano” e “Sottano”.
CARRODANO SUPERIORE
Carrodano superiore fu il primo nucleo abitato di Carrodano. Il tracciato originario della “strada del Bracco” passava all’interno del borgo. Anche qui, a conferma della sua importanza, c’era un antico ospitale. L’abitato è lungo la Via Maestra, il nome che si dava un tempo alla strada principale dei paesi. Un sentiero scende in direzione di Arsina e di Ca’ di Vara: era il primo asse di collegamento con Brugnato. La chiesa, dedicata a San Bartolomeo, è edificata nella parte meridionale del borgo. Dalla chiesa preesistente sono stati trasferiti nella nuova una statua in marmo di Sant’Antonio e, sempre in marmo, l’acquasantiera. Un altro gruppo marmoreo, raffigurante l’annuncio a Maria dell’Angelo Gabriele, proviene da un oratorio di cui oggi restano i muri perimetrali. Queste preesistenze artistiche sembrano dimostrare che già nel tardo medioevo la comunità di Carrodano Soprano fosse molto attiva, e in grado di finanziare in modo significativo le attività di culto. Oggi Carrodano Soprano è un po’ decaduta, il luogo più dinamico è Mattarana. Anche rispetto a Carrodano Inferiore, che conserva la sede del Comune.
CARRODANO INFERIORE
Carrodano Sottano nacque ai primi del Seicento, divenne sede comunale in epoca napoleonica. Era un luogo agricolo.
L’agricoltura, in tutto il territorio comunale, si è ridotta moltissimo. Si pensi che nel 1960 e poi una quindicina di anni fa la società degli agricoltori del posto costruì due laghetti artificiali per l’irrigazione dei campi. Ora, mi spiega Mortola, si è perso il grano, si produce solo un po’ di granturco, gli ortaggi, un po’ di olio e un po’ di vino. Le aziende agricole sono solo due, una delle quali è anche di allevamento. Il futuro è nel turismo, dice il Sindaco, è nel rapporto con Levanto e nelle Cinque Terre. Ci sono due alberghi a Mattarana, uno a Carrodano Inferiore, uno a Ferriere. E B&B, agriturismi, case vacanza, ristoranti… Poi c’è l’artigianato: il polo artigianale ha una trentina di addetti.
Bombardato pesantemente il 25 gennaio 1945, Carrodano Inferiore subì i danni più gravi nel territorio comunale nella seconda guerra mondiale. La chiesa, ottocentesca, è dedicata a Santa Felicita, il cui culto è molto raro nelle nostre zone. Nella visita -mi ha guidato Mirella Carbonifero- ho ammirato in particolare una cassa processionale pesante oltre sei quintali, che rappresenta il martirio della Santa e dei suoi sette figli, e un crocifisso ligneo della scuola genovese del Seicento. La piazza della chiesa è suggestiva: funge da sagrato, e su di essa si affacciano direttamente le case che la contornano da tre lati.
IL MISTERO DEL TERRIBILE BOMBARDAMENTO DEL 25 GENNAIO 1945
Il bombardamento del 25 gennaio 1945 fu uno dei più violenti e disastrosi (45 furono le vittime civili) avvenuti, specie se paragonato alla popolazione residente, in provincia di Spezia. Leggiamo la scheda predisposta da Maria Cristina Mirabello per il sito dell’Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea:
“Il bombardamento, attuato da una squadriglia alleata (americana), nelle testimonianze di chi ha vissuto quei fatti ed è tuttora vivente, presenta caratteristiche di estrema violenza e tali da suscitare interrogativi, cui peraltro è non facile rispondere in modo probante, rispetto alle cause che possono avere spinto gli Alleati a individuare proprio Carrodano Inferiore come oggetto di un’operazione di guerra così drastica.
Si tenga conto che a Carrodano e nel suo territorio si trovavano molti sfollati dal capoluogo spezzino, ma anche da altri centri del Tigullio e che nello stesso Comune di Carrodano si erano verificati spostamenti da parte di gente originaria del luogo che, dai nuclei principali, aveva preferito trovare rifugio in zone ritenute più tranquille, ad esempio le località di Arsina e le Ferriere. Sempre nel territorio di Carrodano esistevano alcuni punti strategici, come quello di San Rocco-la Foce, in cui confluivano quattro vie di snodo verso il Levante, l’entroterra di Varese Ligure, il Ponente e La Spezia, che la zona di Arsina era passaggio obbligato dall’Aurelia verso il Gottero, che a Mattarana e Carrodano Superiore c’era un importante raggruppamento di alpini della divisione fascista “Monterosa” e nuclei di tedeschi, presenza che non risulta però a Carrodano Inferiore (dove invece avvenne il tragico fatto).
Il rischio di bombardamenti era stato fatto presente dallo stesso parroco il quale, in Chiesa, durante la predica, aveva messo in guardia la popolazione dal rimanere in paese di giorno, quando c’era il sole e quindi visibilità.
Ma il 25 gennaio 1945 faceva un gran freddo, non era tempo bello e c’era la neve, quando, inaspettatamente, verso le 13,30, ci fu il primo passaggio di una squadriglia di aerei americani che, provenienti da quattro parti, dapprima sganciarono bombe sparse per concentrarsi poi, sempre più a bassa quota, con volo radente, tanto che la gente poteva vedere addirittura i visi dei piloti coperti da occhiali, con il loro carico di morte su Carrodano Inferiore, dove piovvero bombe incendiarie al fosforo e spezzoni.
Furono momenti di panico, disperazione e devastazione: uomini, donne e bambini, vecchi e giovani, morirono praticamente bruciati, anche coloro che erano scappati in una specie di rifugio aereo sotto una volta in cui rimasero intrappolati fra le fiamme.
Molti i particolari agghiaccianti: fra essi, pietoso, quello di una madre sopravvissuta e rimasta duramente segnata nelle carni dal fuoco cui morì, praticamente incendiata fra le braccia, la piccola figlia.
Quanto ai danni materiali, il paese andò in buona parte distrutto, compresa la sua chiesa, di cui poco rimase in piedi”.
Francesco Garibotti, profondo conoscitore della storia di Carrodano, conferma e aggiunge alcune cose:
“La prima bomba scoppiò a Carrodano Superiore, nei campi. Ora il cratere non c’è più. Poi i bombardamenti si concentrarono su Carrodano Inferiore. La “Monterosa” era a Mattarana e a Carrodano Superiore, a Carrodano Inferiore c’erano i tedeschi, nella casa cantoniera. I tedeschi erano anche a Carrodano Superiore, insieme ai fascisti della “Monterosa”. Il parroco era don Antonio Pessagno. Una volta fu arrestato dai tedeschi con l’accusa -frutto di una spiata priva di fondamento- di aver utilizzato il campanile della chiesa per inviare segnalazioni ai partigiani presenti nella zona, e trasportato con altri arrestati nei pressi dell’oratorio. Don Pessagno fu condannato a morte, gli venne chiesto se preferiva essere fucilato al petto o alla schiena. Rispose: ‘Da qui vedo il santuario di Roverano, dove c’è la mia mamma, voglio morire guardando lei’. L’ufficiale che comandava il plotone di esecuzione, un polacco cattolico, si commosse e lo salvò”.
Garibotti aggiunge che a suo parere gli aerei erano inglesi, non americani. E che un generale che veniva in vacanza a Carrodano nel dopoguerra fece ricerche presso gli archivi americani, senza nessun risultato.
Indubbiamente nel territorio di Carrodano di fascisti e di tedeschi c’era pieno. Giovan Battista Acerbi “Tino”, partigiano che fu sempre con il comandante Franco Coni “Franco”, mi ha raccontato l’assalto della sua “Matteotti-Picelli”, della “Gramsci” e della “Vanni” al presidio della “Monterosa” a Mattarana, nel dicembre 1944. E’ possibile che l’obiettivo degli Alleati fosse proprio Carrodano. Ma bisognerebbe studiare gli archivi militari americani e inglesi. Gordon Lett, allora rappresentante degli Alleati nella nostra zona, non ha mai scritto nulla sull’episodio. Del resto in quei giorni di gennaio era impegnato, come tutti i nostri partigiani, nel rastrellamento più terribile, quello del Gottero, ed aveva ben altro a cui pensare.
Sull’episodio mi è pervenuta una testimonianza scritta di Giorgio Mazzacua, attraverso la moglie Rosanna. Giorgio allora stava alle Ferriere. Ecco il testo:
“Nel ’45 avvenne a Carrodano un fatto drammatico: il 25 gennaio, a tre mesi dalla fine della guerra, per una vendetta dei partigiani, sul paese quattro bombardieri americani, attorno alle 13 di un giorno molto freddo, lanciarono in due riprese sedici bombe e un numero imprecisato di bidoni incendiari, indirizzati sul perimetro del paese. Se gli obici fossero andati tutti a segno, del paese non sarebbe rimasta traccia. Ben 45 degli abitanti, che si erano rifugiati nel portico sotto la chiesa, morirono nel fuoco. Furono poi allineati sul pavimento della chiesa sventrata. Ricordo di essere andato, in quell’occasione, da Ferriere a Carrodano con bottiglie d’olio per lenire le ustioni dei feriti. Un’ora dopo il bombardamento, mia madre sarebbe dovuta essere a scuola, in un’aula accanto alla chiesa, aula risultata poi completamente distrutta.
Quella vendetta era stata prevista. Mi trovavo, infatti, a Roverano quando, richiamato da una sparatoria, vidi dall’alto fuggire sotto i colpi dei tedeschi, che avevano sede nella casa cantoniera del paese, un gruppo di persone venute a Carrodano e costrette a fuggire. Si seppe dopo che si trattava di persone accompagnate dai partigiani costretti a fuggire per una spiata di qualche abitante di Carrodano. Ricordo che nei giorni seguenti i tedeschi radunarono gli abitanti del paese sul piazzale della chiesa, minacciando di giustiziare qualche abitante scelto a caso. Il podestà di Carrodano, un certo Cavallo, chiese di sostituire con la sua persona quelli che erano stati messi al muro. I tedeschi soprassedettero”.
Mazzacua conferma che i tedeschi erano anche a Carrodano Inferiore. E racconta un episodio che è anche nel libro di Gian Emanuele Cavallo “Cavalcata tra le raffiche. Note di un Podestà nel periodo della Resistenza (1943-1945)”. Cavallo ricorda l’arresto di trenta abitanti di Carrodano, minacciati di morte per l’uccisione da parte di un commando partigiano di tre soldati tedeschi presso la loro casermetta: dieci per ogni tedesco ucciso. Avvisato da un partigiano, Cavallo -che si definisce “partigiano mancato”- si precipitò in bicicletta, nella notte, tra Mattarana e Carrodano Inferiore per tentare di evitare la rappresaglia, e alla fine ci riuscì, dopo essersi accusato di persona di essere stato il colpevole. A salvarlo fu un tenente del quale in precedenza era divenuto amico, e la rappresaglia fu evitata.
Carrodano Inferiore poteva dunque essere un obiettivo degli Alleati. Quanto alla segnalazione dei partigiani agli Alleati, certamente potrebbe esserci stata. Ma altrettanto certamente non nei drammatici giorni 20-25 gennaio, nel corso della “battaglia del Gottero”. A Carrodano c’è, o c’era, chi fa o faceva il nome della partigiana “Tina”, forse rifugiatasi per una fase a Carrodano. Il marito Silvio Mari “Silvio” in quei giorni stava sganciandosi risalendo il Gottero. C’è, o c’era, chi fa o faceva il nome di un giovane partigiano di Carrodano, della Brigata “Beretta”. Che sempre negò, e prima di morire scrisse al prete: “Ma non avevo nemmeno una radio!”. E poi certamente gli Alleati non erano soliti prendere ordini dal primo partigiano che passava… Andrebbe comunque studiata, oltre che la documentazione alleata, quella della “Beretta”, brigata che operava in Val di Taro e che a un certo punto dipese non da Spezia ma da Parma. Nella documentazione sulla “Gramsci”, dove militava “Silvio”, nulla risulta a proposito. Poi bisogna tener conto che tra i dodici partigiani di Carrodano alcuni militavano nella Brigata “Coduri” e nelle Sap (“Squadre di azione patriottica”) di Moneglia. Quindi altra documentazione ancora andrebbe studiata. Il Comune di Carrodano potrebbe commissionare una piccola ricerca.
Aggiungo che in quei tragici giorni del rastrellamento morirono, a Carrodano, due partigiani. Il partigiano Marco Bertoni, catturato a Pignona di Sesta Godano, fu ucciso il 24 gennaio 1945. Il Registro degli Atti di Morte del Comune di Sesta Godano dà come luogo del decesso la “via Aurelia a Carrodano”. Il partigiano Luigi Rota, della Brigata Centocroci, fu ucciso il 22 gennaio 1945 ad Arsina. Il Comune di Carrodano gli ha dedicato una via.
Però -ecco un possibile colpo di scena finale- la verità sul bombardamento potrebbe non essere legata alla Resistenza ma ad altro. Un prete della Val di Vara mi ha raccontato che il bombardamento di Carrodano fu voluto da un pilota originario del posto, che da bambino aveva subito le angherie di una matrigna e che era emigrato clandestinamente a New York, dove era stato adottato dallo stesso poliziotto che l’aveva scoperto. Quanto ci sia di vero non so, ma è pur vero che i casi di “minori non accompagnati” che s’imbarcavano clandestinamente a Genova per il Nord o Sud America erano frequenti.
LE FERRIERE
Il viaggio alla scoperta di Carrodano si conclude alle Ferriere, dove non poteva che farmi da guida Rosanna Casella Mazzacua.
Prima però ci incontriamo a pranzo, mangiamo i funghi con il sindaco al ristorante del Santuario di Roverano, che è a Borghetto, vicino al Bracchetto, al confine con Carrodano (esattamente il muro di contenimento del Santuario). Da lì si ammira tutto il territorio di Carrodano. Giorgio Mazzacua vi aveva visto i partigiani, quasi ottant’anni fa.
Rosanna racconta la storia dell’antico casale delle Ferriere, che risale al Seicento. La famiglia Mazzacua lo ereditò dalla famiglia Merzaroli. Da allora è sempre stato un luogo di incontri. Fin dai primi anni Sessanta, quando Giorgio vi ospitava i giovani della FUCI, gli universitari cattolici, come ho raccontato in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”.
Nei primi anni Novanta Rosanna organizzò corsi residenziali di musica classica per orchestra in estate: qui nacque l’orchestra d’archi SIEM, dove iniziò a suonare la figlia Erica. Erica e l’altro figlio, Fabrizio, divennero musicisti. Poi toccò a Erica e al marito Marco, che proposero la stessa esperienza ai loro alunni e realizzarono gemellaggi con orchestre straniere. Nel casale potevano dormire quarantuno persone.
Dal 2005, per diciassette anni, si tennero gli incontri teologici organizzati, sempre in estate, da Giorgio, da poco scomparso (si veda, nella rubrica “Luci della città”, l’articolo “’In ciò che noi crediamo Dio è risorto’. Storia di Giorgio Mazzacua”, 3 luglio 2022).
In un piccolo paese di poche centinaia di abitanti possono succedere tante cose. Mortola racconta, mentre continuiamo ad apprezzare i funghi, che il Giro d’Italia passava sempre per Carrodano. Qui, per molti anni, al bivio Mattarana-Carrodano Superiore, si verificava un fatto curioso. Fausto Coppi, il “campionissimo”, si staccava dal gruppo, accostava la bici, scendeva e abbracciava con affetto una persona che lo aspettava. Era Giuseppe Arbasetti, di Carrodano Superiore, militare in Tunisia nel 1942, come Coppi. Entrambi furono catturati dagli inglesi nel 1943, e imprigionati in un campo fino alla fine della seconda guerra mondiale. L’amicizia in un campo di concentramento non si dimentica.
Una storia tira l’altra. A Mattarana veniva sempre l’avversario “storico” di Coppi, Gino Bartali. Aveva amici che lo ospitavano, veniva ad allenarsi, mangiava dalla “Luigina”. Mortola mi racconta anche di Andrea Raggi, di Carrodano. E’ stato un bravo calciatore di serie A, poi per sette anni nella squadra monegasca del Monacò.
Andiamo, infine, alle Ferriere: lungo la strada per Levanto, che nei tempi antichi doveva essere una mulattiera. Il viadotto autostradale ha diviso il paese in due: entrambe le parti sono ora sotto il viadotto. Qui, a spiegarne il nome, c’era probabilmente una ferriera pre-industriale, poi abbandonata. La zona circostante è conosciuta ancora oggi come “terreno rosso”, per il caratteristico colore dei minerali in ferro.
Il luogo piacque ai Fieschi, che vi costruirono un palazzetto e una chiesa. Rosanna mi fa vedere, in una casa del borgo, un’edicola sacra con un bassorilievo in ardesia che raffigura San Francesco d’Assisi, che potrebbe risalire -secondo Piero Donati- al periodo a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Nel paese esisteva fino a poco tempo fa un mulino. L’ultimo mugnaio, fino agli anni Settanta, è stato Giovanni Bono, zio materno di Pietro Zoppi, per molti anni sindaco di Levanto e deputato DC. Purtroppo ora del mulino non c’è traccia alcuna.
La chiesa -potete ammirarla nella foto in basso- risale al Seicento. E’ dedicata a Sant’Anna e a Sant’Aurelio. Di quest’ultimo e della moglie Santa Natalia, martirizzata con lui, forse dagli arabi, vi sono alcune reliquie. Probabilmente il culto è legato alla vicina Levanto, città marittima. Erminia Tropea Mayer ha dedicato uno studio molto interessante anche a questa chiesetta. Ho potuto visitarla grazie a Rosanna e a Maria Coltella: 86 anni, l’unica persona nata a Ferriere ancora in vita. E’ lei che ha le chiavi.
Ferriere è un brandello del passato, ormai abbandonato, ma ha il suo fascino. Rosanna vorrebbe più cura. Vicino a Ferriere c’è un ponte forse romano, coperto dai rovi. Si potrebbe, dice, realizzare una piccola passeggiata lungo il torrente Levantine. Ripristinare il mulino. Recuperare le case, semplici costruzioni contadine, gusci vuoti di una memoria antica.
Giorgio Pagano
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