C’è una nuova destra, non c’è una nuova sinistra
Città della Spezia, 2 ottobre 2022
Il risultato elettorale ci ha consegnato una vittoria storica del partito di Giorgia Meloni. Se si guardano i voti assoluti, la destra ha sempre gli stessi 12 milioni di voti, con un travaso tra i tre partiti che lo compongono, senza allargare il suo perimetro. 12 milioni sono circa il 26% degli aventi diritto al voto. In particolare, Fratelli d’Italia è stato votato da circa il 15%: un italiano e mezzo su dieci. Non c’è stato uno sfondamento a destra, ma uno spostamento senz’altro: il partito postfascista guiderà il governo in quell’Italia che poteva vantare la più grande tradizione di sinistra dell’Occidente. Si parlava, nei primi anni Settanta, di “caso italiano” o “anomalia italiana”. Ora, all’estero, guardano attoniti la nuova “anomalia”.
Ma perché la Meloni ha vinto? Il sociologo Aldo Bonomi scrive:
“Queste elezioni sono il fallimento delle élite, che non sono più in grado di produrre egemonia culturale e tranquillità sociale”.
Non c’è dubbio, è così. La destra ha vinto perché la sua leader è apparsa credibile e coerente oppositrice della tecnocrazia, del centrismo, dei governissimi e del governo Draghi: ha incarnato il popolo contro l’élite e ha mostrato un’idea di Paese che “tranquillizza”. L’Italia ha votato a destra perché è un Paese spaventato, con disoccupazione altissima, bassi salari, welfare in declino. Le ricette proposte dagli ultimi governi, tutti sostenuti dal Pd (Monti, Letta, Renzi, Draghi), non solo non hanno dato risposte a queste preoccupazioni, ma spesso le hanno generate. Solo il secondo governo Conte era andato in controtendenza, ma il Pd quasi se ne è vergognato, dando l’impressione che prima di Draghi fosse tutto un fallimento e dopo, invece, una marcia trionfale.
Vedremo come la nuova destra capeggiata dalla Meloni governerà. Fratelli d’Italia ha una cultura statalista, la Lega e Forza Italia una cultura liberista. Il tema della sovranità, che è uno snodo centrale, viene posto da FdI e dalla Lega sul terreno nazionale, da Berlusconi sul terreno europeo. Le compatibilità economiche e le alleanze internazionali stanno comunque già comportando una “draghizzazione” della Meloni. La destra sarà portata a caratterizzarsi sulla tassazione -a favore dei più ricchi, perché questo è il senso della flat tax- e sulla lotta ai diritti civili delle donne, degli omosessuali, dei migranti. Ogni insuccesso sul terreno economico-sociale la incentiverà a spostare l’attenzione sui temi “etici” e securitari.
Chi contrasterà questa offensiva? La destra sta marciando su Palazzo Chigi convinta di non avere più un avversario in grado di competere: la sconfitta della sinistra, infatti, è stata anch’essa storica.
C’è, quindi, una nuova destra, ma non c’è una nuova sinistra che sostituisca quella vecchia, che è morta. Si potrebbe quasi dire che le elezioni le ha certamente vinte la destra, ma soprattutto che le hanno perse tutti gli altri. Soprattutto il Pd, perché il M5S è stato protagonista di una straordinaria rimonta, avvenuta dopo aver avere messo al centro la questione sociale -il tema della sinistra- in campagna elettorale.
Parlare di sinistra significa innanzitutto parlare di astensione. Molti dei 18 milioni di non votanti (36,09%) in passato hanno votato a sinistra. Anche questo è un risultato del governo Draghi, il cui messaggio tecnocratico è stato: la politica non serve. Che cosa ci si poteva aspettare, se non un’astensione alle stelle?
Parlare di sinistra significa poi parlare della sua incapacità di unirsi. Prima di Draghi, se si fosse votato, la sinistra avrebbe molto probabilmente vinto. Dopo Draghi molto probabilmente no, ma chissà… L’alleanza Pd-M5S avrebbe comunque reso la partita contendibile. Alla Camera, a livello nazionale, il centrodestra ha raccolto il 43,8% dei voti, Pd e M5S, insieme, il 39,5%. In Liguria il “campo largo” supera il centrodestra di quasi 40mila voti. Nel Comune di Spezia il centrodestra ha il 41,47%, Pd e M5S il 44,39%. A Sarzana il 39,18% contro il 46,91%. A Lerici il 39,97% contro il 43,20. E non ho considerato i voti di Unione Popolare, che nella nostra provincia ha superato il 2,5%.
Ovviamente sono proiezioni semplificate, che non possono valere come consolazione di fronte a una sconfitta storica. Ma sono dati che fanno riflettere sulle responsabilità del Pd, che la rottura l’ha scientemente voluta.
Veniamo al Pd. Un gruppo di autorevoli studiosi e politici di sinistra ha chiesto nei giorni scorsi al Pd “di ripensare profondamente sé stesso, e di andare finalmente oltre sé stesso”. Il Pd ha perso, come detto, non perché il governo Draghi è caduto, ma esattamente per il suo contrario, cioè per la distanza avvertita tra quel governo e milioni di persone provate e spaventate. E poi per la rottura del “campo largo” con il M5S, avvenuta proprio perché Conte era entrato in rotta di collisione con Draghi.
Il documento che ho citato indica al Pd una serie di valori da cui ripartire: la dignità del lavoro, la giustizia sociale e ambientale, la lotta alle diseguaglianze, la pace e il disarmo, la cittadinanza per i nuovi italiani. Ma il Pd è sempre stato altro, fin dalla fondazione.
O comunque non è stato né carne né pesce. Ora deve scegliere: o a destra con Calenda e Renzi, o a sinistra con Conte. Stare nel mezzo lo ha reso politicamente perdente e lo ha prosciugato elettoralmente. Un recente sondaggio della Luiss mostra che in Italia c’è una fortissima maggioranza trasversale a sostegno di battaglie economico-sociali “di sinistra”. L’84% degli italiani vuole il salario minimo per legge, il 79% è per ridurre le diseguaglianze di reddito, il 78% è per mantenere la progressività fiscale, il 66% pensa sia necessario dare la priorità alla protezione dell’ambiente anche a scapito della crescita economica. Temi che sono stati intercettati da Conte e anche dalla Meloni, che pure non è d’accordo su molti di essi: ma è apparsa più “sociale” del Pd! Il Pd è davvero il principale problema della sinistra italiana.
L’altro vincitore, ovviamente più in piccolo, delle elezioni è appunto Conte. Il M5S era dato per scomparso, il Pd ha puntato su Di Maio ma… Come scrive il sociologo Domenico De Masi, “fino ad oggi il Pd diceva che era di sinistra senza esserlo mentre i Cinque Stelle erano di sinistra senza dirlo”. Semmai lo sono diventati troppo tardi, altrimenti il loro risultato elettorale sarebbe stato migliore. Ora, aggiunge De Masi, “la sinistra può cominciare una lunga marcia che porta alla costruzione di un’alternativa seria”.
Un’alternativa che non potrà basarsi solo su un Pd che deve ripensare radicalmente tutto, su un M5S che deve consolidare la svolta di Conte e sulle piccole forze di sinistra e verdi, che devono interrogarsi anch’esse sul perché dei loro magri risultati. Bisognerà coinvolgere anche una miriade di gruppi, associazioni, circoli, gruppi di studiosi. Bisogna “fare società” e lasciare spazio a nuove energie. Lo ha spiegato bene Aldo Bonomi:
“Questa nebulosa è effervescenza sociale, è quella che chiamo la comunità di cura larga. Non è solo l’associazionismo, il volontariato o il terzo settore. È anche la medicina di territorio, le scuole, gli psicologi, il sindacato e le nuove rappresentanze, le organizzazioni delle piccole partite Iva e dei lavoratori creativi. Si riparte da qua, altrimenti vince la comunità rancorosa.
Queste esperienze sono oasi. Noi dobbiamo capire come fare carovana tra le oasi. Prima di ripartire per il deserto, per attraversarlo e fare esodo, ci si ritrova per il caravanserraglio. Di oasi in oasi, si fa carovana. La carovana non ha a che fare con la forma-partito. Basta andare in giro per l’Italia, è tutto un pullulare di fermenti che rimangono chiusi e autoreferenziali e che devono fare carovana. È questa, adesso, la grande questione politica”.
Post scriptum
Dedico l’articolo di oggi a Luisa Valerio, scomparsa nei giorni scorsi. Fu assessore nelle mie Giunte, con la delega al Progetto “La città dei bambini”, purtroppo in seguito abbandonato. Quanti parchi realizzammo basandoci sulle idee e i suggerimenti anche dei bambini! Cattolica e comunista, fu tra i promotori del Partito della Rifondazione Comunista alla Spezia. Negli ultimi anni si era dedicata con la sua solita generosità al volontariato e alla solidarietà. Era una delle tante persone senza partito impegnate nella “comunità di cura larga” da cui la nuova sinistra deve ripartire.
Le foto oggi sono di piazza delle Erbe a Carrara, la “piazeta”, teatro di un importante episodio avvenuto durante la seconda guerra mondiale: la rivolta delle donne carraresi, che il 7 luglio 1944 scesero in piazza per protestare contro il diktat del comando nazista che aveva ordinato l’evacuazione degli abitanti della città e delle frazioni a mare e, sfidando un presidio di militari tedeschi armati, al grido di “Non abbandonare la città” ottennero che il prefetto sospendesse l’ordine di sfollamento.
Nelle prossime quattro domeniche ritornerà, d’intesa con la direzione di “Città della Spezia”, la rubrica “Diario dalle Terre Alte”. La rubrica “Luci della città” riprenderà domenica 7 novembre.
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