Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

Leggi articolo intero »
Crisi climatica e nuove politiche energetiche

Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Quale scuola per l’Italia

Religioni e politica

Ripensare il Mediterraneo un compito dell’Europa

Home » Lerici In

Gli anni Sessanta a Lerici – La comunità giovanile – Quarta parte

a cura di in data 26 Ottobre 2022 – 20:55

Volantino di una iniziativa del Circolo La Carpaneta – Lerici, 16 settembre 1969 – archivio Mainolfi

Gli anni Sessanta a Lerici

LA COMUNITÀ GIOVANILE
Quarta Parte

Lerici In – 1° Ottobre 2022

La Beat generation preannunciò il Sessantotto, la sua ricerca di verità interiori contro l’immobilismo conformista sul piano delle mentalità e del costume: l’ispirazione più profonda della “contestazione”.
Anche a Lerici c’erano i “capelloni” e le ragazze in cerca di una vita beat. Il 25 aprile 1967 “La Nazione” riportò le parole di una quattordicenne lericina, fuggita da casa:
“Volevo arrivare fino a Parigi. Sono stufa di questa vita ipocrita imborghesita. Gli eroi del nostro tempo sono i beat. Ed io sono una di loro”[1].
Le lericine erano le più irrequiete:
“’Non ho saputo resistere all’attrazione del mondo beat. I capelloni sono formidabili: loro sì che hanno capito il mondo’. Questa la dichiarazione di una ragazzina di diciassette anni, abitante a Lerici, fermata dagli agenti della mobile di Roma durante una retata di beatnik appollaiati sui gradini della Trinità dei Monti”[2].
La nuova generazione trovò la sua identità anzitutto sul terreno della musica. Al diffuso bisogno di ideali che diano un senso alla vita rispose in primo luogo proprio la musica. Erano gli anni delle cantine per le prove dei “complessi”, delle rassegne beat e dei locali: a Lerici il Lido. Consideriamo, per esempio, il 1967: al Lido si esibirono Lucio Dalla (25 feb­braio), i Rokes (26 luglio), Adriano Celentano (il 5 agosto: “il Lido era un formicaio, i suoi fans un esercito […] è arrivato verso mezzanotte, ha cantato una decina di canzoni)”[3]. C’erano anche i “bersagli” dei “contestatori”. Racconta Roberto Bonati, del complesso spezzino Le Ombre:
“Una sera suonammo al Lido, facevamo da apripista a Mal e i Primitives. Dopo il nostro concerto, cominciò quello di Mal. Ma dopo alcune canzoni venne contestato. Si dovette fermare e noi continuammo lo spettacolo al suo posto, tra l’esultanza del pubblico”[4].
Nel luglio 1968 tornarono i Rokes: finito il concerto andarono all’hotel Shelley, “poi cambiati di nuovo al Lido per gli autografi”[5]. Ad agosto vennero Dino, Patty Pravo ed Al Bano, “assediato”[6], a novembre l’Equipe 84.
Nel 1966 i Rokes in “È la pioggia che va” cantavano: “Il mondo ormai sta cambiando / e cambierà di più […] Quante volte ci hanno detto, sorridendo tristemente / le speranze dei ragazzi sono fumo […] Se non ci arresteremo, se uniti noi staremo/ molto presto un nuovo sole sorgerà”.
Nello stesso anno “Ragazzo triste” di Patty Pravo metteva in discussione con le emozioni della musica il rapporto tra i sessi. La “ragazza del Piper”, “con la sua spregiudicatezza, le sue scelte anticonvenzionali, le sue gonne corte e la sua voce graffiante, diventò il simbolo dell’anima libertaria del Sessantotto e dell’emancipazione ma anche dell’inquietudine femminile”[7].

Luigi Mainolfi, Paolo Bertolani – 1970 – opera grafica della collezione Mainolfi

Il Sessantotto cominciò per molti così.
Per altri cominciò invece nel novembre 1966, quando, da “angeli del fango”, i giovani si recarono a Firenze dopo l’alluvione, con una mobilitazione senza precedenti. Fu una forte manifestazione di autonomia e di compattezza generazionale. Tra loro c’era Enrico Calzolari, lericino:
“Dopo quell’esperienza -racconta- avevo deciso di entrare nella scuola, per vedere di trasformarla in modo più democratico e più partecipativo”[8].
Calzolari, con Giuseppe Milano ed altri, diede vita in quegli anni al Circolo La Carpaneta. Nella sede di Casa Doria venivano organizzate “serate musicali, conferenze, lezioni di lingue (gratuite) e incontri politici sull’analisi di come il ‘potere’ governa”[9].
Nella Lerici dei Sessanta, alla Serra, si formò un prezioso testimone delle problematiche esistenziali e civili del tempo: il poeta Paolo Bertolani. Paolo era legato a una civiltà contadina che sta per scomparire: quella dei muretti a secco, dei “fodi” (i folti), degli uliveti, dei sentieri… Ma il suo rapporto con la cultura dei Sessanta fu profondo: amava “On the road” di Kerouac, il teatro di Carmelo Bene -protagonista con Paolo di “tenzoni recitative” fino all’alba nel ristorante lericino “La Barcaccia” di Massimo Lorato, luogo simbolo di una Lerici scomparsa- e l’opera di Pier Paolo Pasolini. C’è, in Bertolani, un fondo pasoliniano: all’intellettuale friulano lo accumunano il compianto per un mondo che sta sfacendosi e la polemica verso un progresso che è solo barbarie.
Tuttavia in Bertolani resta sempre, nonostante il pessimismo, la speranza. Due poesie di Paolo chiudono il primo e aprono il secondo volume di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”: “Per una ballata di mezzo inverno”, che si conclude con il verso “Tanto dura a morire è la speranza”, e “Praga 1968”. La speranza e la sconfitta.
In lui la visione dell’esistenza si fece via via più disincantata e amara, ma la sua poesia resta all’insegna della comunicazione con gli altri, della confidenza con il mondo, della “fratellanza”[10], la parola chiave di tanta cultura dei Sessanta e del Sessantotto.
Il grande scultore Luigi Mainolfi, che allora collaborava con Nunzio Vadalà nella gestione dell’Ostello della Gioventù, racconta:
“Anni dopo ero a cena a Torino con Giulio Einaudi, parlavamo di Lerici, lui disse che Bertolani era uno dei maggiori poeti contemporanei. Con Paolo si discuteva di poesia, di letteratura, di politica… La prima mostra la feci a Lerici, al Circolo La Carpaneta. Erano disegni politici, manifesti… Scrivevo anche poesie. Nel 1968, all’Ostello, scrissi le poesie politiche della raccolta ‘Vomiti’. Mi è rimasto molto di quegli anni. Ho conosciuto grandi intellettuali, ho girato il mondo, ma il mio inizio culturale è qui”[11].

Giorgio Pagano

[1] “Lericina beat fugge da casa ma è subito fermata a Spezia”, “La Nazione”, 25 aprile 1967.
[2] “Avventura con i capelloni di una ragazza lericina”, “La Nazione”, 30 maggio 1967.
[3] “Celentano al Lido”, “La Nazione”, 7 agosto 1967.
[4] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019, p. 335
[5] “The Rokes al Lido”, “Il Telegrafo”, 22 luglio 1968.
[6] “Al Bano assediato al Lido di Lerici”, “Il Telegrafo”, 27 agosto 1968.
[7] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, cit., p. 275
[8] Ivi, p. 181.
[9] Ivi, p. 608.
[10] Carlo Di Alesio, “Tre poeti. Giudici, Bertolani, De Signoribus”, Associazione Culturale La Luna, Fermo, 2020, p. 20.
[11] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, cit., p. 607.

Popularity: 3%