Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Ettore e Margherita, dalla provincia al mondo

a cura di in data 22 Ottobre 2022 – 20:38

Roma, il Palatino
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia
25 settembre 2022

ETTORE DAZZARA
L’articolo di oggi comincia soffermandosi sulla creatività di un “nonno”, come ho iniziato a fare con l’articolo dello scorso 22 agosto “Il parroco che ama la gente ‘quasi più di Dio’”. Allora scrissi di due libri pubblicati da don Sandro Lagomarsini, oggi scrivo di un libro stampato e distribuito in poche copie agli amici, che però meriterebbe senz’altro di comparire negli scaffali delle librerie: “La provincia del mondo. Frammenti di avventure e disavventure (1944-2016)”, di Ettore Dazzara.
Il nome può dir poco agli spezzini più giovani, perché Ettore ha vissuto buona parte della sua vita a Roma. E tuttavia ha fatto in tempo a lasciare un segno importante nella sua Spezia, dove è nato nel 1938. Dopo la laurea in legge Ettore, giovane socialista, si trasferì nel 1963 a Roma per fare il funzionario alla Direzione del PSI, da cui si dimise nel 1966 dopo l’unificazione tra PSI e PSDI -che lui contestava da sinistra- per tornare a Spezia. Nel 1968-1969 era capogruppo in Consiglio Comunale, dove era stato eletto nel 1964. Fu più volte assessore -in giunte di centrosinistra e di sinistra, ma sempre “rompiscatole”, come dice lui- e nel 1973-1974 segretario della Federazione socialista, pur continuando a far parte della minoranza di sinistra. Nel 1975 si trasferì definitivamente a Roma, alla Lega Nazionale delle Cooperative, dove fu, tra l’altro, responsabile del dipartimento legislativo (la sua principale collaboratrice era Clio Bittoni Napolitano) e poi, per sette anni, presidente e amministratore delegato di Intercoop, la società di commercio estero e impiantistica della Lega. Un’esperienza molto interessante, che gli consentì di viaggiare per mezzo mondo. Lasciata la Lega, Ettore ha continuato a occuparsi di commercio internazionale. Oggi fa il pensionato, o, meglio, il direttore volontario della Fondazione San Domenico-onlus (Fasano, Brindisi) che opera per la salvaguardia e la valorizzazione di siti archeologici rupestri.
“La provincia del mondo” si potrebbe definire un “memoir”, una raccolta di ricordi. Divertente per l’ironia dell’autore, appassionante per i tanti eventi narrati. Scopriamo, per esempio, che durante la guerra la sua famiglia si trasferì -dopo i bombardamenti del marzo 1943 che colpirono l’Arsenale- a Marina di Pietrasanta. E che Ettore rischiò di essere una delle vittime della strage di Sant’Anna di Stazzema, dove i Dazzara si stavano trasferendo in seguito a un ordine di sgombero della fascia costiera da parte dei tedeschi. Si incamminarono, ma la sera dell’11 agosto 1944 dovettero fermarsi (Ettore aveva sei anni e il cugino, che ne aveva due, doveva essere portato in braccio) a Valdicastello e così non furono tra le vittime.
Ettore cominciò ad appassionarsi alla politica da bambino, nel 1946: aveva simpatia per il Partito d’Azione. Nel gennaio 1947, però, uno zio della madre lo portò a una animatissima assemblea della sezione socialista della Chiappa. Fu così che diventò socialista. Al PSI si iscrisse nel 1960, ma già durante gli anni del Liceo Classico aveva promosso la costituzione del Circolo Calamandrei, e poi a Pisa (dal 1958) era impegnato come socialista nell’UGI (Unione Goliardica Italiana).
Questa storia è tutta raccontata in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, dove Ettore emerge -dalla testimonianza sua e di altri e dai documenti- come un protagonista, esponente principale a Spezia di quel “riformismo rivoluzionario” propugnato dal suo maestro Riccardo Lombardi.
Solo qualche esempio, riferito al 1968. Nel Consiglio Comunale del 19 febbraio 1968, dopo l’occupazione del Liceo Scientifico, Ettore affermò:
“Gli studenti hanno una sensibilità democratica e, oserei dire, una maturità civile di gran lunga superiore a quella di molti insegnanti”.
Nel Consiglio Comunale del 13 dicembre 1968, dopo la manifestazione degli allievi operai dell’Arsenale, a cui seguirono scontri con la polizia, criticò, da capogruppo di un partito di maggioranza, il Sindaco Musiani:
“Il Sindaco avrebbe agito opportunamente se fosse sceso in piazza Europa in mezzo ai giovani”.
In quella stessa seduta si schierò senza indugi con gli studenti che stavano occupando le scuole superiori:
“Gli studenti hanno assunto su di sé un compito che non è solo degli studenti, hanno riempito il vuoto orario dell’inazione degli altri, creato dai ritardi, dalle carenze che in misura non tollerabile hanno caratterizzato (questo dobbiamo avere il coraggio e la franchezza di dirlo) i venti anni della nostra Repubblica democratica. Il vuoto non riempito dagli insegnanti”.
Sul Sessantotto Ettore racconta, in “La provincia del mondo”, un episodio che mi aveva sottaciuto nella testimonianza per “Un mondo nuovo, una speranza appena nata”. In quell’anno prese una decisione sofferta e importante:
“Chiesi al segretario della Federazione spezzina di accogliere la mia domanda di iscrizione al PCI. Non ero comunista, però pensavo che il PCI potesse diventare un partito ‘aperto’”.
Ma finì male. Continua Ettore:
“Esposi al segretario del PCI, il compagno Aldo G., soprannominato ‘il Volpino’, il mio credo a-comunista. Dopo una severa critica del sistema sovietico, dissi che Stalin costituiva certamente una degenerazione ma che Lenin non era esente da responsabilità, ché sue erano la progettazione e la costruzione del sistema che aveva prodotto la degenerazione staliniana.
Inoltre criticai il centralismo democratico e rivendicai il diritto di esprimere e di organizzare l’eventuale dissenso. In breve, misi in discussione i caposaldi dell’essere comunisti.
Il Volpino mi ascoltò e, senza replicare né tanto né poco alle mie argomentazioni, mi disse: ‘Benvenuto nel PCI, compagno. Ora ascoltami bene. Questa nostra conversazione deve rimanere assolutamente segreta. Ne informerò solamente Walter (nome di battaglia, da partigiano, di Flavio Bertone, senatore e leader indiscusso dei comunisti spezzini). Nessun altro deve sapere. Tu ormai sei dei nostri, ma dovrai continuare a fare vita nel Partito Socialista Unificato, parteciperai attivamente alle riunioni del Comitato Direttivo di Federazione e degli altri organi di cui fai parte, continuando ad esprimere le tue opinioni e proponendo quante più possibili manifestazioni unitarie, sul Vietnam e su qualunque altro tema. Riferirai tutto a me, soltanto a me, delle discussioni, delle decisioni, dei problemi che potranno presentarsi. Io ti dirò come dovrai agire, cosa dovrai fare, come dovrai comportarti in Consiglio Comunale. Siamo intesi?’.
Mi mancò la forza di replicare. Dissi solo che tutto ciò non era quello che volevo”.
Ma i ricordi del libro non riguardano solo la politica: ci sono i viaggi in tanti Paesi del mondo, c’è la sessualità com’era vissuta in quegli anni, c’è il dolore per la morte della figlia, c’è la “non credenza” del socialista ma anche l’ammirazione per quanto fanno le suore missionarie in Costa d’Avorio e la commozione nel recitare il Padre Nostro in una chiesa tunisina, in un miscuglio incredibile di lingue…

Torino, il ponte Vittorio Emanuele I sul Po
(2011) (foto Giorgio Pagano)

MARGHERITA BIANCHI
Nei giorni scorsi ci ha lasciati Margherita Bianchi. Anche lei era socialista, come Ettore. Anche lei si impegnò molti anni fuori Spezia, a Torino e poi a Roma: “dalla provincia al mondo”. Ma la sua storia è diversa. E’ la storia di una donna coraggiosa e intelligente. Giovanissima fuggì da casa per stare con l’uomo della sua vita, Piero D’Imporzano. Insieme, a Torino, collaborarono con uno degli intellettuali più influenti della seconda metà del Novecento, Raniero Panzieri. Leggiamo la testimonianza di Margherita in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata”:
“Ho conosciuto Piero nel 1957-1958. Lui stava preparando l’esame da privatista all’Istituto Tecnico Commerciale, io lo aiutavo a studiare. Con lui ho cominciato a leggere libri. Mi prestò ‘Il Manifesto del Partito Comunista’ di Marx ed Engels, ed altri testi della politica socialista. Mi ci ritrovai. Fre¬quentavamo Franco Galasso, uno studioso di economia e di filosofia, che poi andò a Roma a lavorare a ‘Mondo operaio’. I miei genitori gettavano i libri che mi dava Piero nel caminetto: mio padre era stato un partigiano ‘bianco’, per aver conosciuto Piero fui rinchiusa in casa un anno.
Lui andò a Torino, a lavorare nella Federazione del PSI. Io lo raggiunsi nel novembre 1960, ero scappata grazie all’aiuto di Francesco Vaccarone, e poi di Dario Lanzardo che venne a prendermi ad Alessandria e mi portò a Torino. Dormivo nella casa di un operaio socialista, ero minorenne e Piero maggiorenne… Ci sposammo a dicembre. Dopo cinque-sei mesi, tra aprile e maggio 1961, Piero fu licenziato dal partito. Una sera, in un Congresso di Sezione, nel marzo 1961, i nenniani ci avevano preso a seggiolate. Sostenevamo la mozione Basso-Vecchietti, della sinistra socialista.
Cominciò allora la collaborazione, tramite Dario e Liliana Lanzardo, con il gruppo che poi diede vita ai ‘Quaderni rossi’: Raniero Panzieri, Vittorio Rieser, Giovanni Mottura… Io davo una mano a Piero, fu un’esperienza di formazione e di conoscenza molto importante. Panzieri era una persona meravigliosa, un’intelligenza davvero particolare. Alla sera si mangiava qualcosa alla Camera del Lavoro, poi si andava a parlare con i lavoratori immigrati. Alle tre-quattro del mattino eravamo già davanti alle fabbriche per fare i picchetti e bloccare i crumiri. Ricordo la lotta della fabbrica Magnadyne: Piero passò una notte in carcere, io me la evitai perché ero già incinta…
Quando Piero fu licenziato dal PSI facemmo la fame. Poi il fratello di Sergio Garavini ci fece un po’ lavorare, aveva uno studio di statistica… Venni a Spezia a partorire mia figlia, nel settembre 1961, poi nel 1962 andammo a Roma, a lavorare a ‘Mondo nuovo’, l’organo della sinistra socia¬lista, con Lucio Libertini. Abitavamo con Franco Galasso, in via Panisperna. Io facevo la segretaria di redazione, senza stipendio, solo un rimborso di 25 mila lire. Piero faceva l’impaginatore, aveva uno stipendio di 90 mila lire. Troppo poco per vivere, Piero protestò ma fu costretto a lasciare. L’unica possibilità era di lavorare con ‘Il Tempo’, quotidiano reazionario… Tornammo a Spezia nel 1964 inoltrato. Piero, che era stato uno dei fondatori del PSIUP, divenne segretario della Federazione spezzina, avvicendando Bruno Scattina, operaio del Cantiere Muggiano”.
Margherita partecipò a tutte le lotte di quegli anni, nel suo PSIUP. Spesso su posizioni più di sinistra, che Piero criticava. Erano diversi ma accomunati da vivacità intellettuale e umanità. E si amavano. La storia del PSIUP finì nel 1972. La maggioranza confluì nel PCI, anche Margherita e Piero: “era l’unico modo per fare politica”, pensavano. Quel filone della sinistra socialista, a differenza di quello “lombardiano” a cui faceva riferimento Ettore Dazzara, si incontrò con il PCI.
Piero scomparve troppo presto, nel 1980. Margherita lavorò nel patronato della CGIL fino al 1988, poi tornò a Roma, all’INCA CGIL nazionale, fino al 2008. In pensione, ha continuato a collaborare con il Sindacato Pen¬sionati della CGIL sui temi previdenziali: era una vera esperta.
Ripercorrere la vita di Ettore e di Margherita fa riflettere sulla vitalità della tradizione socialista italiana. Aveva davvero ragione Giorgio Amendola a proporre nel 1964, dopo la morte di Palmiro Togliatti, il superamento della frattura storica tra comunismo e socialdemocrazia. Ai suoi occhi, i motivi dello scisma generato dalla Rivoluzione d’ottobre non esistevano più e i tempi erano maturi per una nuova forza di sinistra unificata, come lo era stato il socialismo prima del 1914. La sua proposta fu respinta. Negli anni Ottanta il comunismo scomparve e la socialdemocrazia diventò neoliberista, ma forse, se quella proposta fosse stata accettata, la sinistra italiana esisterebbe ancora. Chissà.
Di quella storia ormai finita ci restano comunque gli esempi di tanti uomini e donne comuni che hanno sempre cercato di ritrovare in sé stessi i valori più antichi e più semplici: il disinteresse, la generosità, la solidarietà, l’integrità morale.

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