Un laboratorio interculturale
IlSecolo XIX14 giugno2009 – Oggi la rubrica è dedicata al laboratorio didattico-creativo “Impariamo ad essere cittadini con l’aiuto dell’arte”, che ha coinvolto 22 ragazzi della scuola media 2 giugno, di varie nazionalità: Albania, Colombia, Italia, Marocco, Filippine, Romania, Repubblica Domenicana. La preside Rosanna Cucurnia e l’arteterapeuta Gianna Taverna mi hanno coinvolto, nei mesi scorsi, nel clima “festoso” di questa esperienza originale, fino alla recente presentazione della mostra e del video conclusivi.
Alla 2 giugno gli stranieri sono il 17%: non conoscono bene la nostra lingua e hanno difficoltà nello studio e nell’inserimento. Agli interventi per sviluppare l’acquisizione dell’italiano la scuola ha affiancato, con il supporto della Fondazione Carispe, il laboratorio. Con un obbiettivo: “favorire una positiva immagine di sé e della propria cultura, e una positiva immagine degli altri, di altri popoli e culture, passando dalla conoscenza dell’altro ad atteggiamenti di rispetto e di scambio… far sì che i ragazzi comprendano che ogni persona è portatrice di diversità e sappiano apprezzarne il valore”. Questi gli strumenti: lavori artistici, educazione alla cittadinanza, musica e danza dei diversi Paesi, e la realizzazione delle scatole-valigie, in cui ognuno ha messo le cose cui tiene di più, per poi condividerle con gli altri: simbolo dell’integrazione interculturale, cioè della possibilità di arricchirsi reciprocamente senza perdere la propria identità. La colonna sonora è la bellissima “Pane e coraggio“ di Ivano Fossati.
Dapprima sono stati coinvolti solo ragazzi stranieri, poi sono stati inseriti anche ragazzi italiani. Tutti concordano: “il gruppo ha funzionato ancora meglio, più ci mescoliamo meglio stiamo”. Perché, come dice Gianna, “l’identità generazionale e l’appartenenza allo stesso istituto sono elementi di coesione più forti di quelli etnici”.
Arrivano alle stesse conclusioni Gianpiero Dalla Zanna, Patrizia Farina e Salvatore Strozza in “Nuovi italiani”, la prima ricerca nazionale sui giovani immigrati: “i ragazzi stranieri sono simili agli italiani appartenenti al loro ceto sociale… non solo per fattori esteriori (i consumi, la formazione delle amicizie, la pratica sportiva…) ma anche per aspetti più intimi (la religione, il fatalismo, l’incertezza…)”.
La ricerca ci dice che la scuola, pur svolgendo un lavoro prezioso di integrazione, anche oggi -come ai tempi di don Milani- perpetua le differenze sociali. Le nuove disuguaglianze si sovrappongono a quelle vecchie. I giovani stranieri hanno risultati molto peggiori rispetto agli italiani. Il rischio è che si riproponga da noi quanto già accaduto altrove: se non raggiungeranno posizioni sociali migliori di quelle dei genitori, questi giovani svilupperanno rancore e ostilità verso la società ospite. E l’intercultura rimarrà una parola vuota. La scuola e l’intera società dovrebbero prendere sul serio la Costituzione, dove afferma che vanno favoriti “gli studenti capaci e meritevoli” e “non i figli delle persone più istruite e nate in Italia”. “La scuola -sostengono gli autori- dovrebbe riservare un surplus di risorse ai bambini più sfavoriti per supplire a quanto le loro famiglie non sono in grado di garantire…il dinamismo delle singole scuole e delle amministrazioni locali va favorito, ma nell’ambito di strategie nazionali e regionali”, che purtroppo mancano. Teniamoci strette e cerchiamo di estendere, intanto, esperienze intelligenti come quella del 2 giugno.
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