Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Don Sandro Lagomarsini, un saggio scomodo (quarta parte)

a cura di in data 5 Aprile 2022 – 12:08

Don Sandro Lagomarsini, a sinistra, alla manifestazione della Val di Vara a Genova -4 giugno 1987

Ameglia Informa 1° marzo 2022

PER LA DIGNITA’ DEL MONDO DELLA MONTAGNA (quarta parte)

Il 4 giugno 1987 mille contadini, giovani e donne della Val di Vara raggiunsero Genova in torpedone, sfilarono per la città e manifestarono in piazza De Ferrari. Avevano i campanacci, i rami dei loro poderi, i cartelli con il nome del paese e scritte come “Sì ai piani regolatori, no a quelli sregolatori”.  “E in testa don Trattore”, sottotitolava “Il Lavoro”. Era don Sandro Lagomarsini, che salì su un camion pieno di ginestre e lesse il volantino preparato dalla gente di montagna:
“I piani paesistici mettono il territorio montano sotto il controllo di coloro che sono stati i responsabili dei guasti della città e delle riviere… Si deve riconoscere, per legge, che il primo elemento di salvaguardia del territorio è una presenza umana stabile”.[1]
Quei montanari chiedevano che Stato e Regione riconoscessero “la dignità del mondo della montagna”:
“Alcuni giovani dei gruppi ‘extraparlamentari’ consideravano il nostro lavoro nelle campagne come ‘battaglie di retroguardia’. Il periodo degli ‘anni di piombo’ ci impedì a lungo di alzare la voce, in pratica fino alla grande manifestazione contadina del 1987: portammo a Genova oltre un migliaio di persone. Ma era già cominciato il ‘riflusso’ e avanzava velocemente la degenerazione dei partiti.
Nel 1974 convinsi la nuova Amministrazione Comunale a iniziare l’assistenza domiciliare agli anziani. […] con vari convegni e alcune collaborazioni con la Comunità Montana indicammo una direzione pos­sibile per lo sviluppo della Val di Vara.
In stretta relazione con il lavoro scolastico si è svolto il recupero della cultura e del patrimonio artistico locale. Ne sono nati il ‘Museo Contadino di Càssego’, la Cooperativa Lanivar (attiva dal 1981 al 1992), una decina di mostre estive (di cui la più importante è stata ‘Arte e Devozione in Val di Vara’), una lunga collaborazione con l’Università di Genova e altre Università europee. […] agli inizi degli anni Novanta mi sono opposto ad alcune scelte ‘coloniali’ dell’Am­ministrazione Comunale di Varese Ligure […] attuo da ventuno anni (dal 27 marzo 1997) una resistenza nonviolenta che mi ha portato a percorrere a piedi 21.900 chilometri”.[2]
Da quando l’ha conosciuta – cinquantasette anni fa – il sacerdote amegliese è sempre stato “dalla parte della montagna”. Una sintesi efficace del suo pensiero è nel libro “Coltivare e custodire”, che raccoglie alcuni articoli pubblicati su “Avvenire”. Alla base c’è la convinzione contenuta nella premessa dei volumi “Sui monti d’Italia” dedicati agli Appennini, pubblicati da ENI tra 1972 e 1975:
“Oltre le strade veloci e i centri turistici esiste un territorio più ampio, più complesso, ricco di storia e di cultura”. [3]
Il futuro del mondo della montagna, secondo don Sandro, “non è il sistema colonialista del biologico, è il bosco, è l’agricoltura basata sui saperi territoriali ed ambientali, è la cultura artistica e storica”.[4]

Manifestazione della Val di Vara a Genova – 4 giugno 1987

Leggiamo un passo del libro, tra i più “controcorrente”:
“E invece bisogna sparare ai lupi. Non dico di estirparli a tradimento con polpette avvelenate, dico di affrontarli con un fucile che spari pallottole di gomma o cariche di sale, capaci di lasciare il segno sulla pelle. Vi spiego. Da quando gode di una superprotezione, il lupo si è fatto l’idea che l’uomo è quell’animale sciocco (o inesistente) che lascia un gregge incustodito dentro un recinto basso e fragile. Così, invece di assalire la pecora isolata o l’agnello debole che si può spolpare con calma per più giorni, il lupo istupidito di oggi uccide in una notte dieci o venti pecore che non potrà mangiare. Bisogna rieducare il lupo, che, ricordiamolo, è da millenni – almeno in Europa – animale antropizzato. […] bisogna trovare il modo di insegnare nuovamente a questi rustici amici a temere l’uomo”.[5]
L’ambiente non si regola e si conserva da solo, senza nessun intervento dell’uomo. L’uomo deve regolare: è questo il vero rispetto della natura. Se non vogliamo perdere i mirtilli, per esempio, dobbiamo tagliare qualche albero. È un’impostazione debitrice della corrente di studio nota come “ecologia storica”, in cui sono centrali l’efficienza delle istituzioni comunitarie di base e l’autogoverno dal basso dei beni collettivi.
“Don Trattore” è certamente un uomo scomodo. Ma non solo. Leggiamo la definizione di Ismael Diarra, un ragazzo del Mali che ha frequentato un corso in un centro per rifugiati di Varese Ligure:
“Don Sandro veniva a Varese due volte alla settimana. Da lui abbiamo imparato tante cose, non solo la lingua: la nostra storia, la storia della Val di Vara. Don Sandro è un saggio. Mi ha trasmesso la voglia di imparare e mi ha incoraggiato a migliorare. Non si direbbe ma è uno che scherza. Mi ha fatto conoscere un mondo di vita”.[6]

Giorgio Pagano

FINE. Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di dicembre 2021 e gennaio e febbraio 2022.

[1] Wanda Valli, “La campagna in piazza. I vostri piani ci stanno soffocando”, “Il Lavoro”, 5 giugno 1987.
[2] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019, p. 519.
[3] Sandro Lagomarsini, “Coltivare e custodire”, “Libreria Editrice Fiorentina”, Firenze, 2017, p. 112.
[4] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, cit., p. 519.
[5]Sandro Lagomarsini, “Coltivare e custodire”, cit., p. 20.
[6] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, cit., p. 512.

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