Le tragedie umanitarie e l’impegno di ciascuno di noi
Città della Spezia, 28 novembre 2021 – La foresta di Białowieża è un’antica foresta vergine situata lungo il confine tra la Bielorussia e la Polonia. Rappresenta tutto ciò che resta dell’immensa foresta che migliaia di anni fa si estendeva su tutta l’Europa, per questo è un sito Unesco, Patrimonio dell’umanità.
Ricordiamoci di questo nome, Białowieża. Forse un giorno i nostri discendenti lo studieranno come uno dei luoghi dove finì l’Europa. Eppure non ce ne stiamo accorgendo, perché ci siamo assuefatti alla sofferenza che si consuma lontano da noi. Ma dove ci porterà l’indifferenza predominante di fronte a una catastrofe umanitaria che avvolge il nostro continente?
Va certamente denunciata la responsabilità del dittatore bielorusso Lukashenko. I migranti che vogliono passare la frontiera con la Polonia per raggiungere l’Europa sono stati sfruttati e ingannati da sedicenti agenzie di viaggio: un vergognoso traffico di esseri umani organizzato dal regime.
Ma le pesantissime colpe del dittatore bielorusso rappresentano solo una parte della tragedia. L’altra consiste nel fatto che la Polonia ha approvato una legge per legalizzare i respingimenti, contraria ai trattati europei e a quella Convenzione sui rifugiati che è un requisito per diventare membro dell’Unione europea. La Commissione deve reagire immediatamente. La Polonia, al pari dell’Ungheria di Orbàn, si presenta oggi come un laboratorio autoritario, pervaso da un istinto alla regressione civile e culturale assolutamente incompatibile con i valori fondativi dell’Europa.
Serve subito un intervento umanitario, con l’apertura di canali di accesso legali verso i Paesi dell’Unione europea. Non la politica dei respingimenti, del filo spinato, delle barriere e dei muri, ma la politica dell’accoglienza come grande responsabilità da condividere nel nome della cooperazione tra gli Stati.
Molte associazioni spezzine hanno sottoscritto nei giorni scorsi un documento al Governo italiano, ai parlamentari e agli europarlamentari in cui si chiede di “adoperarsi affinché l’Unione europea solleciti fortemente la Polonia a far entrare i rifugiati che si trovano in condizioni di violenza indicibile al confine tra la Bielorussia e la Polonia e che oggi sono respinti illegalmente da un Paese dell’Unione per poi ricollocarli in tutti i Paesi europei secondo un equo criterio di redistribuzione” (il documento è stato pubblicato su questo giornale il 25 novembre).
Va provata e sperimentata un’altra strada. La strada illuminata dal faro del rispetto della dignità umana e della solidarietà. Strada praticabile se si ha il coraggio, dentro i confini europei, di combattere una grande battaglia politica e culturale. In cui ognuno di noi può fare qualcosa.
Il 28 ottobre scorso l’Associazione Amici di padre Damarco ha organizzato a Sarzana un incontro sui corridoi umanitari, che assicurano protezione umanitaria alle persone che provengono da territori in guerra. Sono vie legali e sicure, attivate dalla società civile: Comunità di Sant’Egidio, parrocchie, Caritas, chiese protestanti, circoli ARCI. Anche i Comuni potrebbero muoversi, coinvolgendo associazioni e famiglie. I corridoi umanitari sono una goccia nel mare della disperazione che oggi ci vede inermi e dell’indifferenza verso chi soffre. Ma ci indicano l’altra strada. Tutte le volte che vediamo l’immagine di un bambino che muore di freddo, o di un ragazzo morto in mare o d’asfissia, schiacciato dalla calca degli altri che la nave di una Ong non è riuscita a salvare, dobbiamo pensare che lo si doveva, e poteva, soccorrere per tempo. Che la crisi umanitaria tocca anche noi. Che per colmare la nostra costitutiva incompletezza di uomini non ci resta che prendere parte al mondo che abitiamo: partecipare, impegnarci, confrontarci e unirci con gli altri. Tutti gli altri: perché non ci sono sub-umani, esseri inferiori. Ma solo fratelli.
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