Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
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La pandemia, le varianti e la luce che non vediamo ancora

a cura di in data 12 Luglio 2021 – 22:30

Marrakech, piazza Jemaa el Fna
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 27 giugno 2021 – La variante Delta del Covid-19, la cosiddetta indiana, “ha un’enorme capacità di contagio che può infliggere un danno enorme alla popolazione mondiale”, ha scritto il New Yorker. Si sta diffondendo pericolosamente in Gran Bretagna ma sta invadendo il mondo: in Australia mezza Sydney è in lockdown. “Siamo preoccupati e dobbiamo vaccinare, vaccinare e vaccinare, e mantenere le misure di distanziamento”, ha detto Ursula von der Leyen, a conclusione del vertice Ue. Il Ministro Speranza ha aggiunto: “Bisogna continuare a monitorare, sequenziare, tracciare e fare testing”. Ci sarebbe da discutere su come in Italia si stia vaccinando, tracciando, sequenziando… E su come si mantenga l’attenzione. Non solo da noi: si pretende addirittura di fare la finale a Wembley a capienza piena dello stadio…
Ma c’è un altro tema molto importante per la salute globale, e quindi anche nostra, di cui si parla troppo poco: l’accesso diseguale ai vaccini nel mondo. Fino al 4 maggio scorso meno dell’8% della popolazione mondiale aveva ricevuto almeno una dose di un qualsiasi vaccino contro il Covid-19, ma l’80% delle vaccinazioni praticate era avvenuto in soli dieci Paesi, i più ricchi. Ciò mette a repentaglio le vite ovunque, non solo nei Paesi più poveri. Ha spiegato su “Civiltà cattolica” Fernando de la Iglesia Viguiristi:
“Meno persone si vaccinano a livello mondiale, più è probabile che insorgano varianti resistenti ai vaccini. Se le pandemie di Covid-19 e di Hiv ci hanno insegnato qualcosa, è che i virus non conoscono frontiere. Più consentiamo che queste varianti si propaghino, più persone moriranno. Il rimedio per garantire la nostra sicurezza e il rilancio dell’economia è la vaccinazione globale. Per riuscirci, bisogna fabbricare, distribuire e inoculare più di 8 mila milioni di dosi”.
Basti pensare a cosa potrebbero comportare eventuali varianti del virus provenienti dai Paesi più poveri, in particolare dall’Africa. Il continente nero ha finora evitato -non sappiamo ancora il perché- l’ecatombe: 4,8 milioni di casi e 130 mila morti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ovvero il 2,9% dei casi e il 3,7% dei decessi globali. Certamente moltissimi casi e, probabilmente, molti decessi non sono stati diagnosticati o notificati: sappiamo pochissimo di ciò che accade in Africa e non possiamo basare il nostro giudizio sui dati africani. Tuttavia il disastro non c’è stato.

Marrakech, piazza Jemaa el Fna
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Nelle ultime settimane, però, i dati, pur incompleti che siano, segnalano un’impennata, dal Sudafrica alla Repubblica Democratica del Congo, fino all’Uganda e all’Angola. L’allarme lo ha lanciato nei giorni scorsi il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus: “In Africa i casi di Covid sono aumentati del 52% solo nell’ultima settimana e i decessi sono cresciuti del 32%. E ci aspettiamo che le cose possano solo peggiorare”, anche considerando che “meno del 2% della popolazione africana è stata vaccinata”.
Secondo Oxfam i Paesi più ricchi, pur avendo il 15% della popolazione mondiale, si sono accaparrate quasi la metà delle dosi dei vaccini. La sola Gran Bretagna ha vaccinato più persone di quante non ne abbia vaccinato l’intero continente africano. All’attuale ritmo di somministrazione, i Paesi più poveri impiegherebbero 57 anni per raggiungere la protezione totale che quelli più ricchi assicureranno entro gennaio 2022.
Le questioni da affrontare sono due, strettamente connesse tra loro. La prima è che tutta la produzione è nelle mani dell’industria europea e statunitense. Senza una rottura del monopolio, le aziende farmaceutiche qualificate che operano in molti Paesi a basso e medio reddito non potranno contribuire allo sforzo produttivo. In caso di necessità e calamità globale è giusto e necessario che le licenze siano quantomeno sospese, perché il vaccino sia prodotto anche nei Paesi poveri. Ciò non è accaduto. Né si sta provvedendo al necessario trasferimento di tecnologie e al potenziamento degli impianti nei Paesi poveri. Ma -sostiene Giovanni Putoto di Medici con l’Africa-Cuamm- “le case farmaceutiche non possono dettare la linea” perché “il vaccino -che peraltro ha goduto di investimenti pubblici cospicui- è un bene comune”.
La seconda questione è che l’iniziativa Covax -che dovrebbe consentire ai Paesi più poveri l’accesso ai vaccini- sta fallendo per carenza di risorse stanziate dai Paesi più ricchi: ad oggi sono state distribuite meno di un terzo delle dosi promesse.
Lasciare l’Africa a se stessa, conclude Putoto, “è un gravissimo errore, oltre che una gravissima ingiustizia”.
Anche una volta raggiunta l’immunità di gregge per i propri cittadini, i Paesi più ricchi non saranno fuori dalla pandemia. Solo con la vaccinazione di massa nei Paesi più poveri potremo prevenire mutazioni del virus che potrebbero causare nuove ondate di contagi. Vedremo la luce solo quando la vedrà anche il più sperduto villaggio africano.

Post scriptum:
L’articolo di oggi è dedicato ad Antonio Albini, operaio edile, uno dei costruttori, negli anni Sessanta, della Centrale Enel, scomparso nei giorni scorsi. Cattolico, iscritto alla CISL, fu tra i protagonisti della lunga lotta -che ho narrato in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”- per il passaggio dei lavoratori dalla categoria degli edili alla categoria degli elettrici, cioè dal precariato al lavoro stabile. In quella lotta memorabile i lavoratori occuparono la Centrale, allora la più grande d’Italia, e la bloccarono per dodici ore, l’11 giugno 1969. Il libro ricorda il picchetto operaio che bloccò l’ingresso: il picchettaggio come una delle forme di lotta più antiche dell’unionismo operaio, simbolo di un limite posto dalla dignità del lavoro umano alla prepotenza illimitata del padrone del lavoro umano. Viene in mente la tragica morte di Adil Belachdim, lavoratore sindacalizzato, ucciso a Novara nei giorni scorsi mentre faceva un picchetto. Oggi manca, rispetto ad allora, un progetto generale di emancipazione dei subalterni, che avevano i comunisti e i socialisti ma anche i cattolici come Antonio Albini. I componenti del picchetto oggi sono “soli”, senza riferimenti politici. Ma anche i loro nemici sono “soli”: l’uccisore è stato vittima dello stesso spirito dominante, quello del “tempo è denaro” e del “mors tua vita mea”. L’assenza di riferimenti politici si può superare solo se si parte da un principio: il lavoro non è tale se non c’è rispetto della dignità. Qualche amico di Antonio citerebbe Marx e la “lotta di classe”, un’elaborazione che ha accompagnato il movimento operaio per un secolo e mezzo. Antonio citerebbe l’esortazione apostolica “Evangeli Gaudium” di Papa Francesco: “Nel lavoro libero, creativo, partecipativo e soldale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”.

Sui temi dell’articolo di oggi rimando all’intervista di Thomas De Luca “L’Africa e il coronavirus, Pagano racconta in un ebook un continente in bilico”, Città della Spezia, 1° giugno 2020, e al mio articolo “Vaccini ed economia: un nuovo partenariato con l’Africa e i Paesi poveri”, MicroMega.net, 17 maggio 2021.

lucidellacitta2011@gmail.com

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