Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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La tragedia del lavoro e i miracoli delle persone

a cura di in data 22 Novembre 2020 – 19:58

I monti Verruga e Porcile visti da Comuneglia di Varese Ligure
(2020) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 15 novembre 2020 – La pandemia ci spinge a concentrarci sull’emergenza, sanitaria ed anche economica. Ma forse ci sta facendo cambiare: Il suo effetto non è più il sentimento di fratellanza che avevamo sperimentato nella prima ondata ma un sentimento più individualistico, non è più lo spirito di solidarietà e di coesione sociale di allora ma uno spirito di sfilacciamento e di smembramento sociale. La pandemia ci spinge anche a non vedere tutto il mondo che c’è attorno a noi, una realtà che spesso fa rabbrividire.
Pensiamo a cosa ha scoperto nei giorni scorsi, nella nostra città, la Guardia di Finanza. Lo sapevamo, ma ora è chiaro a tutti: è tornato lo schiavismo. 150 operai, in gran parte bengalesi, lavoravano nei settori più pericolosi e pesanti della nautica di lusso pagati 4-5 euro l’ora, costretti a orari massacranti, minacciati, picchiati, perfino derubati. “Ti do un calcio, ti butto dall’alto della nave”, “Dopo averlo attaccato ammazzalo… non capisce niente quell’uomo”, dicevano i caporali intercettati.

Era il 2006 quando Warren Buffet, che solo due anni dopo avrebbe raggiunto il gradino più alto della classifica degli uomini più ricchi del mondo, dichiarò: “È in corso una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo”. La guerra è stata vinta, ormai: profitti alle stelle, sfruttamento e oppressione del lavoro, assenza totale di diritti. Non per tutti, certo. Però, spiegano i sindacalisti, appena dodici anni fa, nel 2008, il rapporto fra lavoratori diretti dipendenti dei cantieri nautici e lavoratori in appalto era di uno ogni cinque. Oggi c’è un lavoratore diretto, in media, ogni otto lavoratori degli appalti, in certi casi uno su dieci. E’ un modello distorto, che destruttura il sistema e crea un piccolo esercito di schiavi. La mia parte politica, che non rintraccio da anni, cosa fa? Ancora una volta si gira dall’altra parte per non urtare qualche potere? Bisognerebbe, di fronte ad ogni area produttiva, che i sindacati e i partiti, organizzassero una sede, una presenza, un presidio, per non lasciare solo nessun lavoratore. Gli enti preposti dovrebbero vigilare, e dovrebbe esserci la piena responsabilità sociale delle imprese committenti sugli appalti. Se non si cambia il modello, accadrà ancora. Vorrei sentir dire: dobbiamo essere “capitale della nautica”, ma anche dei diritti.

Comuneglia di Varese Ligure, chiesa di San Pietro, l’altare settecentesco
(2020) (foto Giorgio Pagano)

Ho studiato, per il libro mio e di Maria Cristina Mirabello sugli anni Sessanta e il 1968-1969, le lotte di quegli anni, la moralità di quelle grandi battaglie per la dignità del lavoro. Purtroppo ciò che resta di quella breve stagione di lotte per il lavoro è una svalutazione pesante del valore stesso del lavoro. Come se quella stagione non fosse mai accaduta. I motivi per me sono chiari: la vittoria, innanzitutto culturale, del neoliberismo, e gli errori di una sinistra che si illuse di cavalcarlo e governarlo. Fu una catastrofe, di cui non c’è ancora piena coscienza. Si vide un dopo Novecento dove c’era un ritorno di Ottocento. Come nel cantiere dei poveri bengalesi.
Ma forse non tutto è perduto. Gli operai, anche se in assenza di un riferimento culturale e politico, esistono ancora. Sono milioni in Italia e miliardi nel mondo. I poveri pazientano, ma prima o poi rompono gli argini.

In questa settimana triste per la pandemia, per la scoperta del caporalato, per la morte del piccolo Joseph -“un piccolo ‘negro’ che avrebbe fatto meglio a starsene nel suo Paese”- in un Mediterraneo senza un lampo di misericordia se non quello delle famigerate Ong , c’è stato un segno di speranza.

I lavoratori Arcelor Mittal di Cornigliano hanno manifestato perché la proprietà aveva licenziato tre loro compagni e sospeso chi aveva scioperato a loro sostegno. Sotto la Prefettura, a conclusione del corteo. la tensione era palpabile. Ma i poliziotti schierati a difesa del portone di palazzo Spinola hanno deciso di togliersi i caschi in segno di rispetto, tra gli applausi della piazza. Le persone, se vogliono, possono fare miracoli.

lucidellacitta2011@gmail.com

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