Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 29 novembre ore 16.30 a Pontremoli
24 Novembre 2024 – 21:44

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
Pontremoli – Centro ricreativo comunale
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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La nostalgia come strategia per il futuro

a cura di in data 3 Ottobre 2020 – 14:03
Veduta della Riviera di Levante dalla vetta del monte Zatta (2017) (foto Giorgio Pagano)

Veduta della Riviera di Levante dalla vetta del monte Zatta
(2017) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 27 settembre 2020

MA QUANTA BELLEZZA ANCORA…
Giunti all’ultima puntata del Diario resta il rammarico di non aver potuto raccontare tutta la bellezza della natura e dell’attività dell’uomo -così strettamente intrecciate tra loro- dell’Alta Val di Vara.
Ci sono cose che non ho ancora visto nemmeno io, e che spero di poter vedere presto. Per esempio, a Maissana, la galleria che attraversa il monte Zenone, con una vista straordinaria, mi spiega il Sindaco Alberto Figaro, sul Tigullio. Fino agli anni Cinquanta dai monti Zenone, Alpe e Porcile si estraeva manganese, e le teleferiche trasportavano il minerale a Casarza Ligure. La galleria, di proprietà del Comune di Maissana, andrebbe riaperta, non solo a fini turistici, ma anche didattici. Ma, riguardo a Maissana, avrebbero meritato almeno un cenno, nel Diario, altri edifici religiosi, dall’Oratorio di Sant’Anna a Cembrano alla Cappella votiva di Nostra Signora di Montallegro, sulla strada per Disconesi…
Nel territorio di Varese Ligure, a proposito di edifici religiosi, merita assolutamente una visita la Chiesa abbandonata di Cesena, dedicata a Santa Giustina, ormai avvolta nel verde. In quella parte del territorio di Varese, quella più vicina a Sesta Godano, c’è il ponte della Macchia, dove Giovanni Battista Acerbi -“Tino” per i partigiani e “Bacicin”, alla ligure, per gli amici- mi ricordava il suo tentativo, non riuscito a pieno, di farlo saltare per aria. Lo bombardavano anche gli alleati, perché era una infrastruttura strategica per tedeschi e fascisti. Poco più avanti c’è una piccola Chiesa dai muri in pietra a vista, dedicata a Santa Teresa d’Avila, quindi il bivio per salire al bel borgo di Montale, con vigneti che producevano un vino apprezzato da Mario Soldati. Il buon vino non mancava e non manca, in Alta Val di Vara.
Ancora: ho parlato forse troppo poco dello Zatta, una montagna straordinariamente affascinante. Cerco di rimediare oggi con la foto in alto, che ritrae la splendida vista sul Tigullio dalla vetta (in basso potete ammirare, invece, il Gottero visto dai resti del castello di Godano). Dello Zatta ci sono storie molto belle. Una è quella della “strada di Baciccia”, che si incontra salendo dal sentiero passo del Biscia-monte Chiappozzo: 1.500 metri che tagliano il versante più impervio dello Zatta. La costruì Giovanni Battista Ghisleri (“Baciccia”), uno scalpellino, per poter prendere la pietra da lavorare in una vena di arenaria. “Bacicia” (così si firmò) ci ha lasciato anche una targa, con data 1922, in cui si scusa per aver potuto realizzare solo il “tracciamento” della strada: in realtà ci ha regalato un sentiero prezioso per escursionisti e cercatori di funghi. Salendo allo Zatta dal passo del Bocco potete vedere anche i “nevai”, buche ben scavate con le pareti in pietra: ghiacciaie di neve comunitarie per la conservazione dei cibi, da mangiare in primavera ed estate. Tornando ai funghi, suggerisco il sentiero che da Varese porta al passo Chiapparino, da cui si può poi salire, volendo, al monte Ventarola, sull’Alta Via. Io non ho mai cercato funghi in vita mia, ma li ho trovati in quel sentiero, attorno ai piedi, senza fatica! Il sentiero è facile e panoramico. Sul passo trovate un rifugio munito di un altare, una cappelletta a disposizione di tutti realizzata nel 1868 da un altro Giovanni Battista, Gotelli, per ringraziare chi aveva ritrovato sano e salvo il figlio disperso ina una bufera di neve.
Anche su altri paesini molto interessanti del territorio di Sesta Godano non citati nel Diario, tutti con i centri storici ben curati e le loro chiesine, ci sarebbe molto da scrivere: su Mangia, Cornice, Bergassana, che si incontrano venendo da Spezia, e su Scogna, Santa Maria, Oradoro, sul versante verso Zignago… Così come ci sarebbe da scrivere su altri episodi della Resistenza nel territorio di Sesta Godano: Scogna messa a fuoco dai tedeschi nel novembre 1944, vicenda raccontatami da “Tino”, Godano vittima della rappresaglia nazifascista nel gennaio 1945, episodio che mi ha narrato Maria Gabriella Brendani. Maria Gabriella aveva tre anni quando, nel 1943, i tedeschi arrestarono la mamma, Rosa Godani, perché l’altro figlio Amedeo, renitente al bando di reclutamento della Repubblica di Salò, si era nascosto ai monti, per diventare poi un partigiano. Rosa ed altre due madri di Godano furono arrestate e portate nel carcere di Villa Andreini. “Tornarono che non ce la facevano nemmeno a camminare”, racconta Maria Gabriella.
Ma nelle Terre Alte ho visto molto altro. Dopo tanti anni ho rivisto le lucciole, e la Stella polare, l’unica stella che si vede a occhio nudo. Spero di vedere un giorno l’aurora boreale, come è capitato a Càssego a don Sandro Lagomarsini. Ho camminato tra i pascoli delle Cento Croci, accanto agli animali, ho visto i vigneti, i terrazzamenti ancora coltivati e quelli abbandonati… Ho fotografato un paesaggio che sta scomparendo.
Non ho scritto per mitizzare il passato, o per nostalgia del buon tempo antico: tra l’altro non sono questi i luoghi in cui sono nato e cresciuto. Ho scritto da “cittadino”, sperando che mi leggessero anche i “cittadini”: forse siamo troppo concentrati sulle città, sulle loro trasformazioni, sui loro drammi. E’ giusto avere questa attenzione, ma non dobbiamo dimenticare quello che accade al di fuori. Senza le Terre Alte, la montagna, le aree interne saremmo tutti più poveri.
Il Diario dalle Terre Alte, proprio per questo, si interrompe ma certamente riprenderà. Resta da raccontare, infatti, il territorio restante dell’Alta Val di Vara, e poi quello delle valli confinanti: lo Zerasco, la Val di Taro, la Val Graveglia, la Val Petronio, la Val d’Aveto…
E fino a dicembre 2020 le foto della rubrica “Luci della città”, che riprenderà domenica prossima, saranno dedicate ai territori di Maissana, Varese Ligure e Sesta Godano.

ALLEVAMENTO E AGRICOLTURA: UN PAESAGGIO COSTRUITO DALL’UOMO
Scrive don Sandro Lagomarsini in “Coltivare e custodire”: “Del paesaggio -di questa parola che non per caso deriva da paese e si collega alla parola francese paysans, contadini, e quindi ai costruttori di ciò che noi oggi chiamiamo paesaggi- si tende a dare un’espressione contemplativa ed emotiva che sembra servire solo per avviare il turista-contemplatore a una sorta di slancio panico dentro una ‘natura-naturale’ inventata, che nella nostra regione non esiste più da qualche decennio”.
E’ così, come ci ha spiegato Guido, l’ultimo pastore del Gottero, nell’intervista di domenica scorsa. Il paesaggio della montagna non è naturale, è stato modificato e mantenuto per generazioni da pratiche agricole e pastorali. Fino al 1850 il pascolo era dappertutto, non c’era separazione tra bosco e pascolo, il bosco era pascolo alberato. Poi si è cancellato quasi tutto. Le foreste italiane sono cresciute di 270 mila ettari in cinque anni, coprono quasi il 40% del Paese. Ma, così come vogliamo evitare che, a causa dell’abbandono dell’uomo, scompaiano le Cinque Terre e Tramonti, dobbiamo volerlo evitare anche per le Terre Alte. Qui la vegetazione ha ingoiato i coltivi e i pascoli, e il fuoco può correre per chilometri senza ostacoli. Occorre far di tutto perché agricoltura e allevamento non spariscano. Il che significa, sostiene don Sandro, affermare anche verità che a volte non si vogliono sentir dire: il bosco maturo va tagliato, non è vero che la vegetazione lasciata a se stessa si mantiene equilibrata. No, provoca un impoverimento della ricchezza botanica. E il lupo va rieducato, deve tornare ad aver paura dell’uomo, così come l’uomo ha paura del lupo. Tutti e due, quando si incontrano, devono scappare. Eliminare del tutto il conflitto non ha molto senso: oggi il lupo non ha più paura ed è instupidito, uccide in una notte dieci pecore che non potrà mangiare. Mi spiega don Sandro: “L’Eden che si costruisce da solo non esiste. Non è vero che la natura non va toccata, da sola non si regola”. Bisognerebbe fare come in Norvegia, dove le autorità, di fronte alla scomparsa della bassa copertura a ginepri, tipica della costa scandinava, hanno operato per una nuova diffusione delle greggi, messe a disposizione, gratuitamente, delle popolazioni.
Don Sandro è critico anche verso il biologico in agricoltura: “E’ un tentativo giusto contro l’agricoltura industriale, ma la produzione di montagna è un’altra cosa. Sarebbe meglio parlare, in montagna, di agricoltura sostenibile. Di biologico in Val di Vara c’è solo la carne, non c’è il latte, non ci sono le produzioni agricole. L’intervento umano esiste sempre”. Di diverso avviso Alessandro Triantafyllidis, che però riconosce che a “tirare” è soprattutto la carne biologica. Anche con il Covid-19: la cooperativa della carne ha aumentato il fatturato grazie ai servizi a domicilio. Le aziende biologiche certificate sono un centinaio, le persone che vi lavorano sono 200. Secondo Trantafyllidis l’agricoltura potrà tornare solo grazie al biologico. Il dibattito verte dunque sulla domanda: potrà tornare l’agricoltura della montagna o ormai “ha vinto” il biologico?
Certo è che agricoltura e allevamento sono importanti per il ripopolamento dell’Alta Val di Vara. Il turismo sostenibile è importante, ma da solo non basta. Oltre una certa soglia di spopolamento neppure il turismo sostenibile è possibile. Ecco perché si guarda anche alla possibilità di incentivare sempre più, grazie al telelavoro, il trasferimento nei piccoli borghi delle Terre Alte, in cui ci sono più qualità della vita e meno costi. Molti Comuni italiani stanno offrendo agevolazioni e sgravi. Ma serve, nel contempo, anche la fibra ottica. Non si tratta di “andare contro le città”, ma di avviare un nuovo rapporto di collaborazione in cui città e aree interne si supportino a vicenda. I Sindaci dei tre Comuni dell’Alta Val di Vara ci credono. Dice Marco Traversone, Sindaco di Sesta Godano: “Un accenno di tendenza c’è. Ad Antessio abbiamo tre case dove vivono nuovi residenti. A Santa Maria sistemeremo un edificio abbandonato per realizzare alloggi di edilizia residenziale sociale e un centro ricreativo per il paese, e sistemeremo la piazzetta”. Rivitalizzare un borgo e offrire case e servizi meno cari per ripopolarlo: è la strategia giusta.

Veduta del Monte Gottero da Godano (2017) (foto Giorgio Pagano)

Veduta del Monte Gottero da Godano
(2017) (foto Giorgio Pagano)

PROBLEMI E PROGETTI A MAISSANA, VARESE LIGURE, SESTA GODANO
Il Sindaco di Maissana Alberto Figaro pensa ad attrarre turisti e residenti soprattutto dal Tigullio: Sestri Levante è a soli 16 chilometri. L’importante, dice, sono i servizi: quelli sanitari, con infermieri di paese, che intervengano a domicilio; quelli scolastici; quelli infrastrutturali (il problema atavico delle strade, delle frane, ecc.). Sul turismo Figaro punta sulla Valle di Lagorara e sulla sentieristica (si veda il primo articolo della rubrica):
“Per la Valle di Lagorara serve un organismo che se ne occupi, da creare con Sestri Levante o con Varese o in autonomia. Per la sentieristica abbiamo ottenuto un finanziamento di 136 mila euro per una pista antincendio di 32 chilometri, che colleghi il nostro territorio all’Alta Via delle Cinque Terre. Inoltre il Parco Nazionale delle Cinque Terre ripristinerà il sentiero che da Deiva Marina porta a Maissana e da qui a Varese.
E poi vogliamo aprire ai visitatori la galleria del monte Zenone”.
Giancarlo Lucchetti, Sindaco di Varese Ligure, sta per realizzare interventi di valorizzazione del tratto di Alta Via dei Monti Liguri tra Colla Craiolo e il passo delle Centocroci (si veda il terzo articolo della rubrica) dal costo di 150 mila euro: aree attrezzate, tavoli da picnic e panchine.
Varese, ricca di potenzialità, ha comunque problemi. Pare risolto quello della crisi di ArsFood, la principale azienda del biologico, produttrice di yogurt: dovrebbe essere subentrato un “colosso” dell’industria casearia (il latte, ripetiamo, non proviene dalla Valle, quel poco che c’è va alla cooperativa casearia). Il problema più grosso è quello del Castello dei Fieschi, donato al Comune dalla famiglia Rossignotti, ma ora oggetto di un contenzioso. I patti dicono che non può essere usato a fini commerciali. Nel frattempo la struttura è chiusa, infestata dai piccioni, con il tetto da rifare.
Sul patrimonio religioso abbiamo accennato nel quinto articolo della rubrica alla necessità di salvare la Chiesa di Porciorasco (oggi abbiamo aggiunto quella di Cesena) e di valorizzare lo straordinario patrimonio artistico della Valle: le “Belle Arti” sono anche in montagna! Abbiamo proposto, nel quarto articolo, una rassegna, ma forse non basta. Perché non pensare ad una sede del Museo Diocesano a Varese? L’ex Oratorio oggi sede del Salone della Compagnia ha ampi spazi e ben si presterebbe.
Linda Merciari, una delle “anime” di Varese, è d’accordo, e sostiene che la comunità varesina possa dare, in questo campo, un contributo:
“Lo abbiamo sempre fatto, anche ultimamente. Il restauro del Coro della Chiesa Parrocchiale di Varese è stato finanziato raccogliendo 25 mila euro presso le famiglie, le altre 25 mila le ha messe la Soprintendenza. Il più grande problema delle strutture religiose di Varese è la chiusura del Monastero delle Monache Agostiniane (si veda il secondo articolo). Erano rimaste cinque suore anziane, la Madre ha deciso che subentrassero le Agostiniane di Cascia. La più anziana, 104 anni, ha scelto di morire prima di partire. Ora il Monastero è chiuso. Ma è nel cuore di tutti i varesini, è stata la comunità a costruirlo e a finanziarlo… C’erano cinque persone fisse tutti i giorni a collaborare con le suore… L’orologio è all’ora solare ed è indietro di un quarto d’ora, la Chiesa vicina è senza campane, che sono nel Monastero. Siamo gli unici ad avere una Chiesa senza campane! Le suore di Cascia non vengono mai, non ci hanno nemmeno lasciato le chiavi, e si sono portate via tutti gli oggetti di valore. Non è giusto, qualcosa bisogna fare! Per fortuna una delle suore mi ha lasciato la ricetta delle “sciuette”, i famosi dolci di pasta di mandorla…”
Aggiunge Linda, a proposito di conservazione della memoria locale: “Non dimentichiamo il piccolo Museo Contadino di Càssego, che conserva tante testimonianze e oggetti del passato”.
Leggiamo, infine, le parole di Marco Traversone, Sindaco di Sesta Godano:
“Abbiamo investito e investiremo molto sul Gottero. Abbiamo recuperato la “strada dei carrelli” (si veda l’articolo di domenica scorsa) e abbiamo sistemato le strade basse. Ora abbiamo molti progetti, per oltre un milione di euro. La prima cosa che faremo è il Piano di assestamento boschivo del Gottero, una sorta di “piano regolatore” per decidere come e cosa tagliare -a rotazione, in modo selettivo-, quali sentieri ripristinare, ecc.
Sistemeremo le strade più alte, puliremo i sentieri, creeremo aree di sosta e un rifugio-bivacco 50 metri sotto la Foce dei Tre Confini (si veda il sesto articolo). Vogliamo un monte per gli escursionisti, non solo per i cercatori di funghi. Puntiamo sul turismo sostenibile, ma l’obiettivo di fondo è che poi la gente voglia trasferirsi a vivere qui”.
Questi progetti sono finanziati, come quelli citati da Figaro e da Lucchetti, dal Piano di Sviluppo Rurale. Idem per il progetto citato da Traversone riguardante Santa Maria. Ci sono poi i progetti del GAL (Gruppo Azione Locale), che finanziano il collegamento Cinque Terre-Alta Via dei Monti Liguri, come quello citato da Figaro e come quello che riguarda Sesta Godano, con partenza da Levanto. Saranno attuati, come detto, dal Parco Nazionale delle Cinque Terre. Il GAL ha finanziato, inoltre, la manutenzione delle strade provinciali e il progetto di navigabilità del Vara per i canoisti da Varese a Beverino, curato dal Parco Montemarcello-Magra-Vara.
L’altra consistente fonte di finanziamento per la Val di Vara è la Strategia delle aree interne. Sono state approvate le linee guida dei progetti, che riguarderanno i settori indicati da Figaro: sanità, scuola, infrastrutture.
Esistono quindi progetti d’area, attuati in modo sinergico dai vari Comuni della Valle. “Ma bisogna fare di più -sostiene Traversone- come Comuni siamo ancora troppo soli. Per questo c’è bisogno di ripristinare le Comunità Montane, con alcune funzioni intercomunali, come turismo e protezione civile. Un esempio: chiusa la Comunità Montana, ridimensionata la Provincia, nessuno si occupa di turismo a livello d’area. Lo dimostra la chiusura dell’ufficio di informazioni all’uscita del casello autostradale di Brugnato”.

DARE VOCE A CIO’ CHE RESTA
Come si vede, tra tante difficoltà, viene messa al centro in qualche modo la questione del destino delle Terre Alte e di una nuova progettualità di rigenerazione, contro l’abbandono. I rischi dell’abbandono sono enormi: economici, socio-culturali, fisici (si pensi al dissesto idrogeologico). Noi “cittadini” non abbiamo ricette da offrire. Se è in crisi la civiltà contadina, è in crisi anche la nostra modernità (ne ho scritto nell’articolo “Fine della civiltà contadina e fine della modernità. Riflessioni dal monte Gottero” su questo giornale, nella rubrica “Luci della città” del 28 luglio 2019). Non dobbiamo guardare al nostro presente. Ma semmai alle potenzialità del passato, come scrive l’antropologo Vito Teti nel suo bellissimo libro “Quel che resta”:
“Il passato può e deve essere riscattato come un mondo sommerso di potenzialità diverse, non compiute, ma suscettibili di future realizzazioni”.
In fondo, con il Diario, sono entrato in piena sintonia con lui:
“L’unica possibilità per scongiurare la fine [dei paesi di montagna] è partire dai campanili, dalle chiese, dalle facciate sacre che mostrano il senso di comunità e di appartenenza della gente. E’ la comunità che deve essere ricostruita. E’ ciò che resta e chi non vuole andare, le persone e gli animali; ma anche i santi e i simboli. Ciò che resta, con tutti i suoi spostamenti: persino la terra che vuole un’altra cura, un altro trattamento, un altro rispetto”.
“In questo universo dove tutto cambia -scrive ancora Teti- perché non legarsi a ciò che resta, a ciò che dura, a ciò che parla ancora di umano?”
Sì, forse sono stato mosso dalla nostalgia: non la nostalgia che vuole “restaurare” l’impossibile, ma la nostalgia come strategia per ripensare e reinventare le Terre Alte e tutto il mondo in cui viviamo.
Per costruire il futuro bisogna dare voce a ciò che resta.

Giorgio Pagano

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