Il primo partito è il non voto
Città della Spezia, 2 giugno 2019 – Il risultato delle elezioni europee di domenica scorsa è evidente per molti aspetti, tranne uno.
E’ evidente che la Lega ha vinto, e che ha vinto perché ha un’identità chiara di destra radicale. Il suo è un messaggio securitario e xenofobo, e di difesa dei più deboli dalla paura. Non a caso la Lega prende voti soprattutto nelle periferie popolari, nei piccoli centri, tra gli operai.
E’ evidente, inoltre, che il M5S ha perso, e che ha perso perché ha una drammatica crisi di identità. Per un anno intero ha sottoscritto l’ideologia e la politica della Lega, salvo poi accorgersi del disastro elettorale imminente e fare una sterzata a sinistra con scarsa credibilità. Alla fine è stata una “somma zero” identitaria. E’ fallita l’idea che si potesse liquidare la dualità destra-sinistra. Il fallimento di questa idea ha portato addirittura al sorpasso del M5S da parte del Pd, cioè di una sinistra solo di nome, priva di identità. E’ quindi venuta meno quella funzione di “argine” che il M5S ha avuto per una fase: la funzione cioè di impedire che il malessere creato dall’austerity neoliberista e dalla degenerazione del sistema dei partiti alimentasse solo la destra. Oggi la destra dilaga, ed è egemone nel Paese.
La terza evidenza è che il Pd è sì ancora in vita, perché comunque una parte dell’elettorato ha bisogno di una forza contrapposta alla destra, ma non ha capacità attrattiva. Lo testimonia il fatto che il partito di Zingaretti non ha beneficiato del collasso pentastellato: solo il 4% dei consensi in uscita dal M5S sono tornati al Pd, mentre due anni fa l’emorragia di voti dal Pd al M5S aveva raggiunto quota due milioni. La perdita del Piemonte (la settima regione consecutiva conquistata dalla destra) e il fatto che la Lega sia dappertutto il primo partito tranne che in Toscana (dove però la distanza con il Pd è inferiore ai due punti), rivelano che parlare di “ritorno al bipolarismo” è una fuga in avanti. Oggi c’è un solo polo: la destra, che è maggioritaria se si tiene conto di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, alleati con la Lega in tutte le Regioni. L’altro polo non c’è perché il Pd non ha identità, non sa ancora chi è e che cosa vuole essere, e non ha un programma conseguente.
Cosa dovrebbe essere la sinistra è per me chiaro: una forza che rappresenti i più deboli e il mondo del lavoro e che dia risposte vere alle loro paure. Chi dice che ora il Pd deve conquistare i moderati non ha capito che i moderati in Italia già si riconoscono nel Pd. Il Pd dovrebbe ora conquistare, semmai, le periferie popolari, gli operai, gli arrabbiati, chi ha paura. Così come dovrebbe affrontare il grande tema della rottura del rapporto uomo-natura e dei rischi che corrono l’ambiente e la specie umana, che in Europa ha portato alla vera sorpresa di queste elezioni: il successo dei Verdi. Su queste questioni di fondo -lavoro e ambiente- il Pd potrebbe ritrovarsi con il M5S: ma dopo nuove elezioni politiche, non in questo Parlamento. L’operazione si poteva fare subito dopo le elezioni politiche del 2018, ma Renzi la fece fallire e gettò il M5S tra le braccia della Lega. Ha ottenuto di rendere il M5S un fantoccio, ma ha fatto grande ed egemone la Lega.
L’ultima evidenza è, come dicevo, il successo dei Verdi a livello europeo: 20,5% in Germania, 18% in Irlanda, 16% in Finlandia, 14% in Austria, 13,5% in Francia… L’eccezione è l’Italia. Io ho votato Verdi, per la prima volta, perché di fronte alla crisi di identità della sinistra in tutta Europa (con eccezione del Portogallo e della Spagna), i Verdi rappresentano un’opzione davvero interessante, non solo ecologista e libertaria, ma anche di sviluppo, di nuovo sviluppo: l’economia verde porta infatti tanti posti di lavoro, stabili e duraturi. Ma sapevo benissimo che in Italia l’opzione verde non avrebbe avuto successo: non solo per lo scarso rispetto per l’ambiente che c’è nella nostra cultura nazionale, ma anche per la pessima prova di sé che i gruppi dirigenti dei Verdi italiani hanno sempre dato, salvo poche eccezioni.
Veniamo al dato molto meno evidente: mai come questa volta il primo partito è quello degli astenuti. Se consideriamo bianche e nulle sono 22 milioni e mezzo di italiani. Se consideriamo gli aventi diritto, la Lega ha il 18,58 % dei voti, il Pd il 12,22%, il M5S il 9,23%. Sempre considerando gli aventi diritto -ha notato lo studioso Franco Astengo- nel 1976 la Dc aveva il 35,14%, il Pci il 31,20%, il Psi l’8,75%. Oggi i primi tre partiti arrivano al 40,03% dell’intero elettorato, nel 1976 arrivavano al 75,09%. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana il primo partito non supera i 10 milioni di voti.
La Lega ha certo una grande forza, ma il sistema è molto fragile e il distacco tra governanti e governati non è mai stato così grande. In Italia c’è ancora vivacità sociale, ma la difficoltà nell’espressione della rappresentanza politica è enorme. Milioni di elettori non votano, come ho ricordato. E milioni di elettori che votano cambiano espressione di voto tra un’elezione e l’altra, anche nella stessa giornata. Tutto è liquido, nulla è stabile. La caduta prima di Renzi, poi di Di Maio, ce lo insegnano.
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