In direzione ostinata e contraria
Città della Spezia, 20 gennaio 2019 – Qualche giorno fa ero a casa di Gino Paoli, sulle alture di Nervi. Abbiamo parlato tanto anche di De André. Entrambi eravamo rimasti colpiti, l’11 gennaio, dalla coda per entrare a Palazzo Ducale: una manifestazione popolare di affetto che ha visto protagoniste tante persone, genovesi e non, ansiose di partecipare al ricordo del grande artista scomparso vent’anni prima.
“Abbiamo fatto di tutto -mi ha raccontato Gino- per aiutarlo a vincere la sua paura di cantare in pubblico. Sergio Bernardini, il patron della Bussola, gli mandò un assegno senza cifre, la moglie di Fabrizio gli disse ‘questa volta ci vai’. Lui andò, ma cantò tutto il tempo nascosto dietro un enorme leggio. Bernardini lo toglieva, lui lo rimetteva. Una sera, era il 1962, al Circolo della Stampa di Genova in piazza De Ferrari, organizzai uno spettacolo, io e Arnaldo Bagnasco lo gettammo sul palco”.
Ho chiesto a Paoli perché De André non abbia suonato a Levanto, quando lui gestiva il Casinò, dal 1968 al 1970: “A Levanto veniva -ecco la risposta- la moglie voleva che suonasse, lui arrivava al mattino, passavamo la giornata insieme e poi scappava… era spesso ubriaco, beveva per avere il coraggio di andare in scena”.
E’ giusto raccontare Fabrizio anche così, ho pensato. A volte è stato trasfigurato in un santo, lui che fu uomo con molti peccati e che non gradirebbe assolutamente la sua elevazione francescana, come è capitato troppo spesso in questi vent’anni. E tuttavia quest’uomo con molti peccati è giustamente considerato come una voce etica, un antidoto al mondo dell’egoismo, delle ingiustizie, della ricchezza sfrenata.
Ha probabilmente ragione Gino quando mi dice che, musicalmente, il De André più originale non è quello di “Bocca di rosa”, che ha lo stesso stile del cantautore francese George Brassens, ma quello di “Canzone dell’amore perduto”. “Questo è più lui”, mi dice, e mi canta meravigliosamente tutta la canzone. Così come ha ragione quando dice che si è cantanti “politici” non perché si fanno sermoni o si danno giudizi, ma perché si canta in un certo modo dell’amore, della vita… Mi viene in mente “Creuza de ma”, che è cantata in un genovese incomprensibile ai più, ma è così intrisa di umori mediterranei da riassumere, con chiarezza e con un’aura internazionale e universale, una visione storico-politica. Una volta De André disse: “Altro che Cee e Nato: noi apparteniamo anima e corpo al Mediterraneo. Bisogna guardare ad Algeri e a Istanbul che ci sono vicine e che, in qualche modo, anzi in moltissimi modi, fanno parte del nostro passato. Altro che Chicago e Londra”.
Senza sermoni e giudizi De André è stato il poeta degli ultimi, dei vinti, degli oppressi. Dopo “Creuza de ma”, scrisse “Le nuvole”. In questo disco la canzone più dura è “La domenica delle salme”, quasi profetica, soprattutto nei suoi versi finali:
La domenica delle salme,
fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante
Uno schiaffo al vuoto della politica. Era il 1990, stava per arrivare Tangentopoli.
Tra le canzoni che mi sono più care ci sono quelle di “Anime salve” (1996). Anche perché legate a uno dei suoi ultimi concerti, che da Sindaco volli organizzare al Picco il 7 agosto 1998 (ne ho scritto dieci anni fa in “De André al Picco, emozione di dieci anni fa”, leggibile qui: “De Andre al Picco, emozione di 10 anni fa“). I temi fondamentali del disco sono la solitudine e la lotta per la libertà. Soprattutto in “Smisurata preghiera”:
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
chi tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità
di verità
…
Ricorda Signore questi servi disubbidienti
alle leggi del branco
Non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
Ma la canzone a me più cara di tutte è quella che ho citato all’inizio del mio libro “Orgoglio di città” (2007), in cui spiegavo la mia scelta di lasciare la politica come potere. E’ “Recitativo (Due invocazioni e un atto d’accusa) Corale (Leggenda del Re infelice)”, che si conclude così:
Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà
per pietà.
La canzone faceva parte di “Tutti morimmo a stento”, l’LP più venduto nel 1968. Non l’ho mai dimenticato.
Vent’anni dopo non ci manca solo De André. Ci manca un intellettuale contemporaneo, immerso nella sua generazione, che come lui ci sappia far vedere e sentire la bruttezza che ci circonda e il riscatto possibile con la pietas degli “uomini senza fallo” a cui è rivolto il “Recitativo”.
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