Vita e morte di “Bisagno”
Città della Spezia, 2 dicembre 2018 – Aldo Gastaldi, “Bisagno”, fu un protagonista della Resistenza ligure e italiana. Un protagonista “gigantesco”, lo definisce Sandro Antonini nel suo bel libro “Io, Bisagno. Il partigiano Aldo Gastaldi”, presentato a Spezia, per iniziativa dell’Anpi, pochi giorni fa. Eppure, andando su internet, di “Bisagno” da vivo si parla poco, si parla di più della morte, dei “sospetti” sulla morte.
Il libro di Antonini ha il merito di farci conoscere “Bisagno” vivo: un uomo libero a cui non appiccicare le nostre casacche di oggi, un militare e un educatore (la sua brigata, la “Cichero”, fu definita anche una “scuola”), un credente. E ha il merito di dire parole chiare sulla sua morte. La fine di Aldo Gastaldi sopraggiunse il 21 maggio 1945, subito dopo la Liberazione, per un incidente stradale, nel viaggio di ritorno dal Garda alla Liguria, al termine di una missione rivelatrice della generosità di “Bisagno”, che mantenne la promessa di accompagnare verso casa un gruppo di ex componenti della divisione degli alpini “Monterosa”, disertori nella fase finale dei combattimenti. Senza la sua scorta, nel viaggio avrebbero potuto correre seri rischi. Una brusca frenata scagliò a terra “Bisagno” dal tetto del camion sul quale imprudentemente si era sistemato con un compagno. “Dalle ricostruzioni non è mai emerso nulla -afferma Antonini- e la tesi dell’omicidio non ha trovato, ad oggi, alcun riscontro”.
“IL PRIMO PARTIGIANO D’ITALIA”
“Bisagno” fu così definito da Giovanni Serbandini “Bini” nel discorso al suo funerale. Anche “Bini” era del gruppo originario della “Cichero”, una banda partigiana che nacque a metà ottobre del 1943 in un casone del borgo di Cichero. Con loro c’era anche Umberto Lazagna “Canevari”, padre di Gian Battista, poi partigiano anche lui della “Cichero” con il nome di battaglia “Carlo”. Subito dopo al gruppo si unì Giambattista Canepa “Marzo”.
Gastaldi era un giovane sottotenente, un ufficiale che fece la “scelta morale” dopo l’8 settembre 1943. Nel febbraio-marzo 1944 era già comandante: perché sapeva leggere le carte militari. E perché aveva prestigio tra i compagni, capacità di trasmettere fiducia. Canepa, comunista confinato a Lipari nel 1925 per cinque anni, poi portato a Ponza dopo un tentativo di fuga, combattente nella guerra di Spagna, si adeguò “per disciplina di partito”. Ma in una lettera del 24 febbraio 1945 al sarzanese Anelito Barontini, che era diventato Commissario politico della VI Zona (quella genovese), aggiunge: “Riconobbi in ‘Bisagno’ un’onestà, un coraggio e delle qualità militari non indifferenti, sicché mi attaccai a lui sinceramente”.
“Bisagno” mangiava con gli altri partigiani e dormiva sulla paglia. Dice ad Antonini Bernardo Traversaro “Rum” della brigata “Coduri”, che ebbe modo di conoscerlo: “Un partigiano che un giorno si trovava con lui mi raccontò che al momento del pasto -scarso- disse di dividere senza pensare al resto. Avrebbe mangiato qualcosa dopo gli altri, se fosse rimasto del cibo”. Inoltre “Bisagno” instaurò un rapporto positivo con la popolazione contadina, rispettandone la proprietà e la mentalità. Era un grande combattente ed era sorretto da una profonda religiosità. Ebbe un unico difetto, la misoginia: nessuna donna poteva entrare nella brigata.
Dalla nascita della “Cichero” emerge subito la pluralità della Resistenza: c’era il militare cattolico come “Bisagno”, così come il vecchio militante comunista come “Marzo”, e pure l’intellettuale come “Bini”, che nel dopoguerra fu giornalista comunista e poeta e che, durante la Resistenza, organizzò una mostra d’arte dei partigiani, pure con uno spartano catalogo. Una pluralità che fu una grande ricchezza, ma anche origine di conflitti.
CONTRO IL SETTARISMO DEI PARTITI
La pedagogia politica di “Bisagno” era chiara: quello che contava era il patto ciellenista, del Comitato di Liberazione Nazionale, contro i settarismo dei partiti, di tutti i partiti. In questo caso del Pci, perché la “Cichero” era una brigata a grande maggioranza comunista. Ma “Bisagno” non era di nessun partito. Da questa pedagogia politica nacque il suo conflitto con il Pci.
Che cos’era il Pci in quegli anni? Certamente un partito stalinista e classista: per molti partigiani la battaglia contro il fascismo era la prima battaglia della liberazione contro il capitalismo, era la “guerra rivoluzionaria”, per usare i termini dello storico Claudio Pavone. Ma il Pci era anche altro: con la “svolta di Salerno” del 1944 il segretario del Pci Palmiro Togliatti fece la scelta dell’unità antifascista e della “democrazia progressiva”, la scelta della Resistenza come “guerra patriottica” e “guerra antifascista”, sempre per usare i termini di Pavone. Ma quando Anelito Barontini “Rolando” annunciò la “svolta” ai compagni non ci fu entusiasmo, racconta ad Antonini Gian Battista Lazagna: “Per i compagni che speravano in un rapido succedersi delle battaglie rivoluzionarie, la prospettiva delineata da ‘Rolando’ fu assai deludente”.
Antonini scrive che le due anime convissero sempre, e cita a tal proposito il carteggio tra Renato Jacopini “Marcello” e il segretario della Federazione comunista spezzina Antonio Borgatti “Silvio” (si veda in questa rubrica “La solitudine di Marcello”, 17 maggio 2015).
E comunque il conflitto tra il Pci e “Bisagno” ci fu, e fu in alcuni momenti molto duro. “Bisagno” si batté contro l’iniziativa comunista per l’egemonia nelle brigate, soprattutto attraverso i Commissari politici. Antonini scrive: “Secondo ‘Bisagno’… i commissari… non devono spingersi entro certi limiti, né pendere esclusivamente da una parte. Invece constata spesso voluti e reiterati sconfinamenti che, sostiene con forza, finiscono per incrinare l’armonia presente nella formazioni. Non ha in simpatia i comunisti e con loro avrà gli scontri maggiori; così come non ha in simpatia qualunque partito politico”.
Il clima peggiorò, fino all’episodio svoltosi a Fascia il 7 marzo 1945, in un’osteria: si sfiorò lo scontro fisico. Il compromesso fu la separazione della “Cichero” in due divisioni.
NO ALLE PAGINE BIANCHE E NO AI VELENI SENZA RISCONTRI
Il libro, e più in generale la vicenda di “Bisagno”, ci insegnano che non bisogna lasciare pagine bianche, anche se difficili da accettare. Io stesso ho cercato di procedere così: un capitolo del mio “Eppur bisogna ardir” è intitolato “Facio e Laura”, ed è dedicato all’uccisione del comandante Dante Castellucci “Facio” per mano di altri partigiani comunisti. Come diceva lo storico, e partigiano, Marc Bloch, “l’esigenza di capire è più profonda di tutto”. Proprio per questo è necessario rifiutare i veleni senza riscontri, frutto di speculazioni politiche e cattivi revisionismi. Va combattuta ogni edulcorazione circa i conflitti nella Resistenza: ricordiamoci sempre che l’insurrezione di Genova fu votata a maggioranza dal CLN. Ma va combattuto anche ogni tentativo di infangare e delegittimare la Resistenza: il veleno del sospetto sulla morte di “Bisagno” non ha alcun riscontro, sostiene Antonini.
Sul cattivo revisionismo si veda, in www.associazioneculturalemediterraneo.com, “Dalla Resistenza alla Costituzione fino al revisionismo attuale” (26 settembre 2018).
LA RESISTENZA E I PARTITI
La storia di “Bisagno” fa riflettere molto sul rapporto Resistenza – partiti. Io ho sostenuto, sia in “Eppur bisogna ardir” che in “Sebben che siamo donne”, scritto con Maria Cristina Mirabello, che la Resistenza fu all’inizio anche e soprattutto un fatto spontaneo, una scelta “esistenziale” di uomini e donne. Poi venne la “politicizzazione” delle bande, con un crescente ruolo dei partiti. La questione è complessa, e il giudizio va articolato. Con la “politicizzazione” si perde la democrazia dal basso, si perde l’eguaglianza vigente nelle prime bande, si perdono a volte comandanti carismatici come “Facio”. Ma è vero anche che i legami con i partiti, ha scritto Claudio Pavone, “operarono come fattori di unità perché non solo trasmisero alla base la politica unitaria del CLN, ma alimentarono la convinzione che fosse l’impegno politico in quanto tale a costituire il cemento sostanziale tra i partigiani”. Senza i partiti, con tutti i loro difetti, il movimento partigiano non avrebbe assunto un carattere nazionale.
I PARTITI IN LOTTA PER L’EGEMONIA
I tentativi di conquistare l’egemonia nelle brigate non furono solo del Pci ma di tutti i partiti. Nella IV Zona (quella spezzina) il Psi costituì una sua brigata. I cattolici cercarono senza successo di costituire una loro brigata: i comandanti cattolici scelsero di restare in “Giustizia e Libertà”. Il Partito d’Azione ebbe da subito la sua brigata, poi Colonna “Giustizia e Libertà”, che fino a una certa fase (agosto 1944) fu molto più forte e coesa delle frammentate brigate garibaldine (a parte la “Muccini” in Val di Magra). Poi ci fu il tentativo riuscito di dar vita a una grande formazione garibaldina, la “Gramsci”. Se nell’agosto del 1944 il rastrellamento nazifascista fu retto dalla Colonna “Giustizia e Libertà” e dalla brigata “Centocroci”, brigata mista di comunisti e moderati, nel gennaio del 1945 il rastrellamento più terribile lo ressero meglio i garibaldini. Il disegno del Pci, riuscito, fu però gestito nel peggior modo possibile. Con un crimine: l’omicidio di “Facio”.
Rispetto alla VI Zona il giudizio nella IV Zona deve essere più duro: “Facio” fu ucciso, “Bisagno” no.
Al fondo degli errori ci fu la inadeguatezza e la mancanza di preparazione delle classi dirigenti dei partiti, nel nostro caso del Pci. Non dimentichiamoci che Commissario politico della IV Zona fu all’inizio il comunista Antonio Cabrelli “Salvatore”, l’assassino di “Facio”. Forse addirittura una spia. Poi i comunisti lo sostituirono: ma non capirono subito chi era veramente.
Circa il ruolo dei partiti, il compromesso tra le forze principali fu raggiunto, nella IV Zona, il 25 luglio 1944, con la costituzione del Comando, affidato a Mario Fontana, militare e socialista, con Cabrelli, e poi Tommaso Lupi, Commissari politici. Un compromesso raggiunto solo a seguito della visita di due rappresentanti del Comando regionale della Liguria: il comunista Barontini e l’azionista Giulio Bertonelli “Balbi”, che poi cercò di diventare Commissario al posto di Cabrelli. Insomma, la lotta per l’egemonia la fecero tutti, Pci e Partito d’Azione in primis. Ma ci fu anche la capacità di raggiungere un accordo.
LA VERITA’ SU “ROLANDO”
Su Anelito Barontini “Rolando”, Antonini riprende la testimonianza di Elvezio Massai “Santo”, partigiano con “Bisagno”. E’ una testimonianza a mio parere tendenziosa: non a caso “Santo” fu colui che da un certo punto in poi sostenne la tesi dell’uccisione di “Bisagno”. Barontini sarebbe stato uno dei più spietati avversari di “Bisagno”.
In realtà su “Rolando” ci furono parole molto belle nei rapporti degli Alleati (si veda, su www.associazioneculturalemediterraneo.com, “Ricordo di Rolando Barontini”, 7 dicembre 2016).
Soprattutto sono i documenti che parlano, quelli riportati da Giorgio Gimelli in “Cronache militari della Resistenza ligure”. Il 23 settembre 1944, nell’assemblea dei comandanti della VI Zona “Rolando” parla delle divergenze sui Commissari politici e sostiene l’esigenza che “i Commissari propagandino con la massima obbiettività le politiche del Governo e la politica del CLN, escludendo ogni propaganda di partito”. Dopo Fascia, alcuni avevano proposto di prendere provvedimenti contro “Bisagno” e “Santo”: ma “Rolando” disse di evitarli. C’è infine un articolo apparso l’8 aprile 1945, su “Il partigiano”, il giornale della VI Zona. “Rolando” lasciava la VI Zona, tornava a Spezia e nel testo, intitolato “Siate uniti”, scriveva:
“Non lasciate che il germe della discordia si infiltri nella nostra lotta e non permettete a nessuno di minare la nostra unità”.
Fu anche lui un protagonista “gigantesco” della Resistenza italiana e ligure.
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