La bellezza dei colori in un mondo che crolla
Città della Spezia, 11 novembre 2018 – Nei giorni scorsi -nell’ambito del progetto sull’acqua in Palestina che sto seguendo per la Water Right Foundation, un impegno che mi coinvolgerà per i prossimi due anni- ho passato una giornata a Betlemme. Mancavo da nove anni: l’ultima volta venni nel 2009, per seguire il Piano Strategico della città. Abbiamo incontrato il Direttore Generale del Comune e visitato l’azienda di gestione idrica. Immediatamente non ho notato grandi cambiamenti, a cominciare dalla “Casa Nova” dei francescani, nella piazza della Mangiatoia, dove alloggiavo e dove mi sono subito recato per un buon caffè. Betlemme è un luogo in cui si respira un’intensa atmosfera religiosa ma non è solo un luogo santo, è anche un punto di animazione turistica, pieno di negozi di souvenir, di ristoranti e di bar. A tutti chiedo come vanno le cose, e la critica all’occupazione israeliana è molto dura. Il turismo è ancora in gran parte mordi e fuggi, di pellegrini che arrivano in pullman e poi tornano subito in Israele. Qualcuno mi dice che qualcosa si sta muovendo nella direzione di un turismo più stanziale, altri mi forniscono un quadro più critico, in Comune ma non solo. Nelle prossime missioni certamente capirò meglio come si vive oggi in Cisgiordania. E a Gaza, anche se probabilmente non riusciremo a entrare: in ogni caso con i gazawi lavoreremo via skype, come abbiamo già iniziato a fare.
I MOSAICI DELLA BASILICA DELLA NATIVITA’
Ma un grande, straordinario cambiamento è già avvenuto. Prima degli incontri, un rappresentante del Comune ci ha accompagnati nella visita della Basilica della Natività. La chiesa è uno degli edifici cristiani più antichi, costruita nel punto in cui gli storici individuarono la grotta in cui Maria dette alla luce Gesù. La basilica originale, eretta nel IV secolo dall’imperatore Costantino, venne distrutta nel corso della rivolta dei Samaritani nel 529 d.C. Durante il regno di Giustiniano (527-565) fu sostituita, sullo stesso sito, da una basilica più grande e di tracciato leggermente diverso, ma comprendente numerose parti della costruzione originale. La nuova basilica si è praticamente conservata fino a oggi. Nell’interno, le colonne in calcare furono dipinte in età medievale con affreschi raffiguranti gli apostoli. Ma erano quasi del tutto sbiaditi. Anche le pareti erano originariamente ricoperte da mosaici, di grande splendore, sulla vita di Gesù e dei suoi discepoli, ma pure essi erano scomparsi. Sotto il pavimento di pietra si potevano scorgere resti di antichi mosaici pavimentali. Ma nulla di più. Il fascino della basilica era religioso più che artistico: si entrava per accedere alla Grotta della Natività, il luogo in cui la tradizione vuole che sia nato Gesù. Ricordo che quando stavo a Betlemme ogni mattina, molto presto, andavo nella Grotta, senza quasi notare la chiesa. La meraviglia di questa visita è avere rivisto gli interni dopo il restauro, in buona parte realizzato.
Ad accompagnarci c’era anche un rappresentante dell’impresa Piacenti di Prato, che nel 2013 si aggiudicò i lavori di restauro in una gara d’appalto internazionale, a cui parteciparono dodici gruppi. La progettazione esecutiva e l’intervento avrebbero dovuto riguardare solo il rinnovo della superficie esterna del tetto: pioveva dentro la chiesa, bisognava sostituire le travi e le tavole lignee, e le lastre in piombo. Ma poi le opere di restauro hanno interessato, grazie a trenta donatori e all’Autorità Nazionale Palestinese, anche le aree della chiesa che manifestavano cattive condizioni conservative, estetiche e strutturali: le superfici interne ed esterne, gli intonaci e le pietre, le porte di ingresso, gli architravi lignei. Fino ai mosaici. I restauratori -ci hanno spiegato le nostre guide- sono altamente specializzati e coordinati da una squadra di tecnici che vive a Betlemme. L’impresa Piacenti ha un’impresa locale partner come importante aiuto e supporto per le operazioni di logistica e di reperimento materiali. Molti operatori locali e lavoratori palestinesi sono coinvolti nel cantiere, e il confronto tra differenti ruoli e nazionalità -ci raccontano- è sempre più positivamente sorprendente.
I mosaici delle colonne e delle pareti sono di una bellezza stupefacente. Le scene raffigurate si riferiscono ai momenti principali della vita di Gesù e dei discepoli. Sono mosaici di epoca crociata, realizzati tra il 1165 e il 1169, che ricordano nello stile quelli di epoca bizantina che si trovano anche in Italia, e molti sono incredibilmente simili a quelli che si trovano a Gerusalemme, nella moschea della Cupola della Roccia. Le tessere dorate, originariamente, sono state volutamente inclinate, per riflettere la luce e trasmettere stupore e meraviglia ai pellegrini che arrivavano a Betlemme e entrando nella basilica volgevano il loro sguardo verso l’alto. Potete ammirare uno dei mosaici nella foto in alto.
Fa riflettere -ci siamo detti- che, mentre nel Medio Oriente sembra che tutto venga distrutto, qui a Betlemme qualcosa invece viene conservato, anzi riportato all’antica bellezza. Ed è naturale il nostro orgoglio nel vedere che è un’impresa italiana a fare questo miracolo. Ora si sta lavorando al recupero dei mosaici del pavimento. “Il restauro dei mosaici è un’esperienza incredibile che ci ha trasformati”, dice il tecnico della Piacenti. Lui si è sposato in questi anni a Betlemme, si trova molto bene: “Betlemme è una città bella e pacifica, dove convivono cristiani e musulmani… nella piazza della Mangiatoia, vicino alla basilica, c’è la moschea di Omar, e i pellegrini che vengono da noi sono anche musulmani”. Ora la speranza di tutti noi è che si trovino le risorse anche per il restauro della Grotta, che fu vittima di un incendio nel lontano 1869 e non è mai stata restaurata.
BANKSY E IL MURO DI BETLEMME
In un mondo che crolla è bello vedere i colori. Gli altri colori che mi hanno affascinato nella visita a Betlemme sono stati quelli dei graffiti di Banksy e di altri artisti di strada dipinti nel muro costruito da Israele per separare Israele e la Palestina, anche se occupata. Potete vederne alcuni nella foto in basso. Banksy ritrae qui, come in altre sue opere in giro per il mondo, il grande Muhammad Alì. Il muro è un’impenetrabile barriera di cemento e filo spinato alta più di nove metri, dotata di torrette di guardia, che costeggia e attraversa le aree occupate della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Penetra dentro Betlemme seguendo due strane curve a gomito, concepite per lasciare la tomba di Rachele, che è a Betlemme, in territorio israeliano. Quanto il muro è orribile, tanto i graffiti di Banksy sono splendidi.
Come ha scritto Jan Dalley sul Financial Times del 28 dicembre 2017, “la presenza invisibile di Banksy in questa parte della Cisgiordania è diventata sempre più importante”. Intervistato via email (l’unico modo per comunicare con questo artista noto per voler rimanere anonimo), Banksy ha dichiarato scherzosamente che la prima volta che si è recato nella regione era “attratto perlopiù dal muro: la superficie sembrava in grado di assorbire molto bene la pittura”. L’artista britannico ha lavorato al muro in più fasi, dal 2003 a oggi. “A dirla tutta, sapevo pochissimo sul Medio Oriente quando sono venuto qui la prima volta, dalle notizie veniva fuori che qui abitano persone abituate ad ammazzarsi a vicenda”, racconta. “Nel mio primo viaggio in Palestina sono arrivato di notte e mi hanno portato subito dietro il muro. E quindi ho immaginato che la povertà, gli asini, la mancanza d’acqua e i blackout elettrici fossero un elemento della vita quotidiana in questa parte di mondo. Sono rimasto sconvolto quando, una settimana dopo, ho superato un posto di blocco e sono entrato in Israele dove, ad appena cinquecento metri, scintillavano dei ricchi centri commerciali, con rotonde piene di palme e suv nuovi di zecca dappertutto. Vedere le diseguaglianze tra le due parti è stato scioccante, poiché era chiaro che questa disparità era totalmente evitabile”.
Banksy dà prova di modestia quando risponde alla domanda sulla possibile efficacia pratica della sua arte, ma rimane ottimista. “Non ci sono molte situazioni in cui un artista di strada possa essere di qualche utilità”, dice. “La maggior parte della mia attività politica si limita a mostrare. Ma in Palestina esiste una piccola possibilità che l’arte abbia qualcosa di utile da aggiungere. Qualsiasi cosa possa interessare i giovani, e in particolare i giovani israeliani, non può che essere d’aiuto”.
Post scriptum:
Su Micromega ho iniziato un Diario dalla Palestina.
Questo il link al primo articolo:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/diario-dalla-palestina-gerusalemme-appartiene-a-tutti/
lucidellacitta2011@gmail.com
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