Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Il Porrajmos, l’altro olocausto

a cura di in data 12 Agosto 2018 – 08:31
Roma, piazza degli Zingari  (2010)  (foto Giorgio Pagano)

Roma, piazza degli Zingari
(2010) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 5 agosto 2018 – “Ho percorso lunghe strade, ho incontrato rom felici. Una volta avevo una grande famiglia, la legione nera li ha uccisi”. Sono le parole dolenti di “Gelem, Gelem”, l’inno rom.
Tutti, o quasi, sanno che nei campi di sterminio nazisti gli uccisi di religione ebraica furono oltre sei milioni. Ma pochi sanno che nei lager trovarono la morte altri gruppi e minoranze: duecentocinquantamila disabili, migliaia di omosessuali, trentamila tra socialisti, comunisti e massoni, quaranta-cinquantamila internati militari italiani, duemila testimoni di Geova. E cinquecentomila rom e sinti. Molti studiosi e associazioni, per definire l’olocausto rom, hanno adottato il termine “Porrajmos”, che in romanes significa “divoramento”. Fu introdotto nel 1993 dal professore rom Ian Hancock dell’Università del Texas, che lo sentì da un sopravvissuto ai campi di sterminio.
Il 15 aprile del 2015 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione per adottare il 2 agosto come “giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom”. La risoluzione ricorda: “i 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi” e che “nelle camere a gas nello Zigeunerlager (campo degli zingari) di Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 agosto 1944, 2.897 rom, principalmente donne, bambini e anziani, sono stati uccisi”.
Ma cosa successe 74 anni fa? Perché i nazisti uccisero quasi tremila persone in una sola notte? Probabilmente si trattò di una punizione: pochi mesi prima, il 16 maggio, armati di mazze e pietre, i rom si erano ribellati all’azione di rastrellamento finale, mettendo in fuga i nazisti.

IL RACCONTO DI UN TESTIMONE
Testimone oculare della notte del 2 agosto fu l’ebreo italiano Pietro Terracina. Ecco il suo racconto:
“Con i rom eravamo separati solo dal filo spinato. C’erano tante famiglie e bambini, di cui molti nati lì. Certo soffrivano anche loro, ma mi sembrava gente felice. Sono sicuro che pensavano che un giorno quei cancelli si sarebbero riaperti e che avrebbero ripreso i loro carri per ritornare liberi. Ma quella notte sentii all’improvviso l’arrivo e le urla delle SS e l’abbaiare dei loro cani. I rom avevano capito che si preparava qualcosa di terribile.
Sentii una confusione tremenda: il pianto dei bambini svegliati in piena notte, la gente che si perdeva ed i parenti che si cercavano chiamandosi a gran voce. Poi all’improvviso silenzio. La mattina dopo, appena sveglio alle 4 e mezza, il mio primo pensiero fu quello di andare a vedere dall’altra parte del filo spinato. Non c’era più nessuno.
Solo qualche porta che sbatteva, perché a Birkenau c’era sempre tanto vento. C’era un silenzio innaturale, paragonabile ai rumori ed ai suoni dei giorni precedenti, perché i rom avevano conservato i loro strumenti e facevano musica, che noi dall’altra parte del filo spinato sentivamo. Quel silenzio era una cosa terribile che non si può dimenticare. Ci bastò dare un’occhiata alle ciminiere dei forni crematori, che andavano al massimo della potenza, per capire che tutti i prigionieri dello Zigeunerlager furono mandati a morire. Dobbiamo ricordare questa giornata del 2 agosto 1944”.

LO STERMINIO IN ALTRI PAESI
La risoluzione del Parlamento europeo ricorda inoltre che in alcuni Paesi fu eliminata oltre l’80% della popolazione rom. Morirono 15.000 dei 20.000 zingari tedeschi, in Croazia ne furono uccisi 28.000 (ne sopravvissero solo 500), in Belgio 500 su 600. In Lituania, Lussemburgo, Olanda e Belgio lo sterminio fu totale, il 100% dei rom.
La studiosa Mirella Karpati riporta che la maggior parte dei rom polacchi fu trucidata sul posto dalla Gestapo e dalle milizie fasciste ucraine, le quali, in molti casi, uccidevano i bambini fracassando le loro teste contro gli alberi. Le testimonianze raccolte dalla Karpati sui crimini dei fascisti croati (gli ustascia) sono altrettanto aggancianti: donne incinte sventrate o a cui venivano tagliati i seni, neonati infilzati con le baionette, decapitazioni, e altri orrori ancora. Per tali motivi i rom sloveni e croati oltrepassavano clandestinamente il confine con l’Italia, ma finivano in uno dei 23 campi di prigionia loro riservati e sparpagliati sull’intera penisola.

L’OSTRACISMO VIENE DA LONTANO
La risoluzione considera l’”antiziganismo” come “un’ideologia basata sulla superiorità razziale, una forma di disumanizzazione e razzismo istituzionale nutrita da discriminazioni storiche”. Dal Medioevo in poi si accumula diffidenza su diffidenza, oppressione su oppressione. Il rom funge da sempre il capro espiatorio, a cui negare il suo carattere europeo, per farne una sorta di straniero interno (nonostante le comunità rom, e gli stessi termini rom e zingaro, si siano formati in Europa tra il 1300 ed il 1400).
I nazisti e i fascisti perfezionarono le politiche europee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l’antropologo Leonardo Piasere, il maggior numero degli editti anti-rom dell’epoca moderna furono emanati dagli Stati preunitari tedeschi e italiani. Forse non è un caso: saranno proprio Germania ed Italia, secoli dopo, a pianificare l’olocausto rom, oltre che quello ebraico.

Auschwitz-Birkenau  (2005)  (foto Giorgio Pagano)

Auschwitz-Birkenau
(2005) (foto Giorgio Pagano)

IL FASCISMO CONTRO LA “PIAGA ZINGARA”
In Italia già nel 1927 il Ministero dell’Interno emanava direttive ai Prefetti per “epurare il territorio nazionale” dagli zingari e “colpire nel suo fulcro l’organismo zingaresco” .“Il manifesto della razza” del 1940, dell’antropologo fascista Guido Landra, inveiva contro “il pericolo dell’incrocio con gli zingari” che definiva randagi e anti-sociali.
“Ferme restando disposizioni impartite in precedenza circa respingimento aut espulsione zingari stranieri disponesi che quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza”: così ordinava una circolare telegrafica firmata l’11 settembre del 1940 dal Capo della Polizia Arturo Bocchini e indirizzata a tutte le Prefetture del Paese.
Da quella data, con ancor maggiore accanimento, in Italia la “piaga zingara” fu combattuta attraverso la persecuzione, il rastrellamento e l’internamento delle popolazioni rom e sinti. Il fascismo realizzò una rete di campi di concentramento riservati, oltre che agli oppositori politici, a loro: il primo fu l’ex tabacchificio presso Bojano, in Molise, poi il vicino paese di Agnone, e ancora a Berra, a Tossiccia, a Prignano sulla Secchia, a Castello Tesino, a Gonars, a Ferramonti di Tarsia, a Vinchiaturo, a Casacalenda, alle Isole Tremiti…
Grazie alle ricerche della Karpati, sappiamo che nei 23 campi in Italia le condizioni di vita erano molto dure. Racconta una donna: “Eravamo in un campo di concentramento a Perdasdefogu. Un giorno, non so come, una gallina si è infiltrata nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi son presa sei mesi di galera per furto”.

PRIMADI TUTTO VENNERO A PRENDERE GLI ZINGARI
Discutiamo pure se e quali responsabilità abbiano gli stessi rom e sinti in questa politica dell’esclusione. Ma è certo che i governi nazionali e le amministrazioni locali poco o nulla hanno fatto, in questi decenni, per favorire una relazione, uno scambio e forme -per quanto faticose- di integrazione.
Il nuovo Ministro dell’Interno ha parlato di un “censimento” dei rom. Avrebbe dovuto dire: “Faremo ispezioni per vedere che a tutti i bambini, compresi i rom, sia garantito il diritto di andare a scuola”. Non lo ha detto perché pensa che i rom siano un pericolo: non perché i bambini non vengono mandati a scuola, ma perché sono rom. Ma se si viene presi a bersaglio per ciò che si è e non per ciò che si fa, allora vuol dire che una soglia è stata superata, e che il pericolo della discriminazione è in atto. E la storia ci parla di un lungo percorso che, partendo dalla discriminazione, giunse all’ostracismo e poi al genocidio.
Ecco perché dobbiamo rivendicare a viso aperto il “Porrajmos” e la dignità delle vittime rom e sinti all’interno della più grande tragedia del Novecento: è una delle strade per evitare che altre “legioni nere” tornino a uccidere.
Siamo parte di una storia e di un presente comuni. Resta sempre attuale il discorso del pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller. Dopo un sermone antinazista, Niemöller fu arrestato su ordine di Hitler e rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau. Riuscì a sopravvivere e passò gli anni Quaranta e Cinquanta a predicare a favore della pace e contro le discriminazioni, pronunciando più volte un testo diventato celebre:
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Post scriptum:
Dedico l’articolo di oggi a Bassano Staffieri: un Vescovo che è stato soprattutto un “buon pastore”, che ha predicato il Vangelo “dentro e fuori del tempio”, là dove la comunità vive i giorni faticosi della sua quotidianità. Sono stato Sindaco per un periodo quasi concomitante al suo episcopato, con il conforto di saperlo sempre vicino alla città. Grazie alla sua opera la Chiesa ha camminato sulle strade dell’uomo e lo ha affiancato con il servizio dell’evangelizzazione e dell’attenzione verso il mondo del lavoro e i ceti più deboli.
Mi mancheranno i colloqui che ho sempre avuto con lui ogni anno, a Natale e a Pasqua.
La fotografia in alto ritrae Piazza degli Zingari, nel rione Monti a Roma. Prese il nome dalle carovane di zingari che affluirono a Roma a partire dal ‘600 e che si concentrarono soprattutto in questa zona: gli uomini lavoravano pentole e stoviglie di metallo, mentre le donne andavano in giro a leggere il futuro sulle mani dei passanti in cambio di offerte. Nella vicina via degli Zingari una lapide ricorda l’olocausto dei rom, dei sinti e dei camminanti insieme a quello degli ebrei.
La fotografia in basso è stata scattata ad Auschwitz-Birkenau.
Sul tema si vedano, su www.associazioneculturalemediterraneo.com:
l’articolo “In piazza degli Zingari nel centro di Roma” (6 dicembre 2009)
la documentazione sul convegno “Chi sono gli zingari?” (7 marzo 2013)

lucidellacitta2011@gmail.com

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