Nuovo waterfront i privati non bastano
Il Secolo XIX 17 – luglio 2018La lettura del “Secolo XIX”, al ritorno da una missione in Africa, mi ha suggerito alcune riflessioni.
Mi è parso esagerato l’aggettivo “storico” usato dal Presidente della Regione e dal Sindaco per il protocollo d’intesa sulla restituzione di Calata Paita alla città: in fondo si è solo tornati al punto di partenza, cioè alle scelte strategiche e urbanistiche fatte agli inizi degli anni Duemila. Interessante è la ripresa della vecchia richiesta di “sdemanializzazione” di Calata Paita per il suo passaggio al Comune: ma è ancora, come allora, una richiesta. Apprezzo che si cerchi di recuperare un decennio perduto (2007-2017) a causa del devastante conflitto -tutto interno al centrosinistra- tra Comune e Autorità Portuale. Ma bisogna evitare di ripetere gli errori, in primis quello della subalternità del pubblico al privato. E invece chi governa oggi rischia di ricascarci. Il vecchio masterplan del waterfront, che stravolgeva il progetto Llavador, puntava a realizzare opere di grande impatto ambientale, considerate fattibili dato l’interesse del “mercato”. Per fortuna arrivò la bolla immobiliare, e non se ne fece nulla. Oggi si aggira un altro masterplan, la cui elaborazione è stata chiesta da Comune e Autorità Portuale a Royal Caribbean e Msc, già proponenti del project financing per la stazione crocieristica. E che prevede anch’esso un impatto ambientale non da poco. Ma il futuro del waterfront non può essere lasciato alle scelte degli investitori privati. Non si tratta di tornare a una visione pianificatoria rigidamente burocratica e dirigista, ma non possiamo nemmeno pensare di affidarci solo alla progettualità affidata al “mercato”. Anche perché sarebbe episodica e svincolata da una visione complessiva della città.
Dissento dall’opinione del neoassessore allo sviluppo economico della Regione, secondo cui alla Spezia “la politica non ha fatto nulla” e “per fortuna ci sono gli investimenti privati”. Se, per fare un solo esempio, i vecchi cantieri di demolizione sono stati sostituiti dai moderni centri della nautica, è perché le istituzioni programmarono un utilizzo della linea di costa che incentivò determinati investimenti privati: se l’area ex Inma fosse stata destinata a porto, come pure fu proposto, oggi non ci sarebbe Baglietto…
E’ necessario, come allora, trovare strumenti capaci di costruire un piano urbanistico all’altezza di questa fase di incertezze. Stimolando l’intervento dei privati, ma senza lasciare la città al “caso”. Lo strumento esiste: il Progetto Urbanistico Operativo, integrato dalla Valutazione Ambientale Strategica e da validi processi partecipativi. Uno strumento necessario anche per essere trasparenti nelle scelte, sia nei confronti degli operatori che dei cittadini.
Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo
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