E’ festa d’Aprile
Città della Spezia, 22 aprile 2018
“Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia per conquistare la pace, per liberare l’Italia; scendiamo giù dai monti a colpi di fucile; evviva i partigiani! È festa d’Aprile”.
(“E’ festa d’aprile”, stornello partigiano).
UMBERTO VENDRAMIN “FARINATA DEGLI UBERTI”: COME I SAPPISTI LIBERARONO SPEZIA
Il mattino del 23 aprile 1945 i tedeschi e i fascisti abbandonarono precipitosamente la città. La “Relazione sull’organizzazione e attività svolte dal Gruppo SAP – Giustizia e Libertà della Città della Spezia dal settembre 1943 all’aprile 1945”, pubblicata nel giugno 1945 dalla tipografia Fabiani per le cure di Umberto Vendramin “Farinata degli Uberti”, uno dei capi di questa organizzazione, spiega bene quanto accadde:
“Il mattino del 23 aprile 1945 tutte le SAP (Squadre Azione Patriottica) della città iniziarono l’attacco contro i residui delle Brigate Nere, tedeschi, Guardia Nazionale Repubblicana e gruppi di franchi tiratori che ancora si trovavano in centro città e località limitrofe. Altri gruppi di sappisti provvedevano ad impossessarsi dei principali edifici, quali: Prefettura, Comune, Poste e Telegrafi, magazzini di materiali vari e di viveri abbandonati dai nazifascisti, nonché enti militari e stabilimenti industriali. Altre formazioni delle SAP inseguivano i tedeschi nelle località del monte Parodi, Foce e San Benedetto, ove concorrevano all’attacco con le Brigate Partigiane catturando una ventina di nazisti e una buona quantità di armi automatiche. In questo frattempo squadre del Battaglione ‘E. Rossi’ delle SAP Portovenere si impossessavano di alcune piccole unità della Marina repubblicana e catturavano elementi nazifascisti che tentavano di fuggire in mare. La sera dello stesso giorno la prima camionetta con a bordo il Maggiore alleato Gordon Lett entrava in città liberata, seguito da alcuni sappisti, ove la folla gli tributava entusiastiche accoglienze”.
Nelle SAP erano confluiti molti militari nella clandestinità agli ordini di un ufficiale superiore di Marina, il CV Alberto Bussolino. Fu proprio lui che si installò in Prefettura in attesa che il CLN spezzino scendesse dai monti e assumesse i poteri.
IL 25 APRILE – IL RACCONTO DI ALDO MANESCHI “MERLO”
Aldo Maneschi, detto Dino, classe 1923, ha quasi 95 anni. Salì ai monti con i partigiani nel settembre 1944, nella Brigata “Centocroci”, dove già combattevano i cugini Bruno detto Lello ed Emilio Maneschi; nel novembre salirono anche gli altri due cugini Erminio e Giuliano detto Neto. Aldo raggiunse il Passo delle Cento Croci a piedi, da lì andò ad Albareto, nel Parmense. Il suo nome di battaglia era “Merlo”. Fece l’infermiere, aveva sempre in spalla lo zainetto con le medicine. Erano tutti ragazzi di Migliarina, il loro punto di riferimento era Ferruccio Pellegrinelli, il pugile. Il Comandante della Compagnia -un’ottantina di uomini- era il vezzanese Enrico Cozzani “Richin”. Il momento più terribile fu il rastrellamento del gennaio 1945 (“La battaglia del Gottero”): ci fu un primo scontro con soldati mongoli vicino a Tarsogno, poi l’intenzione era recarsi nello Zerasco. Ma, saputo che anche là c’erano i tedeschi, i partigiani tornarono indietro di notte dal Gottero e passarono tra due formazioni di tedeschi e mongoli per raggiungere la zona del monte Penna. Solo dopo una decina di giorni si poterono riorganizzare, e raggiunsero Groppo di Sesta Godano. Lì si costituì la “nuova“ Cento Croci, quella garibaldina; l’altra parte, quella più “moderata”, al comando di Federico Salvestri “Richetto” andò nel Parmense. La “Centocroci” garibaldina andò poi a Buto, dove combatté il 21 marzo. Fino alla discesa verso Spezia -Aldo ricorda di essersi fermato a Pignone- e alla battaglia finale di San Benedetto (24 aprile). I tedeschi si erano appostati a Debbio per colpire i partigiani, sostenuti dai colpi di cannone del forte di Visseggi, ma furono sconfitti. Nella serata del 24 arrivarono gli Alleati, che salivano da Spezia in direzione Genova.
Il 25 aprile, racconta Aldo, iniziò la discesa dei partigiani verso Spezia: “Venivamo giù con i nostri fazzoletti rossi, le armi pronte, ma non incontrammo né tedeschi né fascisti. In una curva della Foce ci trovammo di fronte a una colonna di soldati americani di colore che salivano verso Genova in pieno assetto di guerra. Dopo qualche incertezza ci furono reciproche manifestazioni di amicizia, ci diedero anche qualche pacchetto di sigarette. Mentre scendevamo si facevano sempre più numerose le persone che ci venivano incontro: prima al Negrao, alla Chiappa, poi da lì fino a piazza Verdi fu tutto un abbraccio popolare. A noi si unirono uomini delle SAP con il tricolore al braccio. E’ qui che conobbi Pietro Mario Beghi, che quel giorno fu nominato Prefetto. A Spezia trovammo le camionette degli Alleati”.
Gli Alleati, infatti (ne ho scritto domenica scorsa in questa rubrica: “Ermanno, i partigiani e gli Alleati”, 15 aprile 2018), arrivarono il 24 aprile da Sarzana a Spezia, dove incontrarono una Brigata partigiana, la “Compagnia Arditi” proveniente da Riomaggiore, che aveva disobbedito al Comando della IV Zona Operativa. Gli Alleati non spararono un colpo perché La Spezia era già stata liberata dalle SAP il 23 aprile.
IL 25 APRILE – IL RACCONTO DI GIULIANO COZZANI “PELLEGRO”
Il 25 aprile, dalla Foce, scesero solo i partigiani, non gli Alleati. Risulta dalla testimonianza di Aldo Maneschi, ma anche da altre testimonianze di partigiani ancora in vita.
Giuliano Cozzani, classe 1921, ha quasi 97 anni. Nativo di San Benedetto, dopo l’8 settembre rientrò a casa, disertò il bando della Repubblica di Salò, si nascose per qualche tempo, con altri disertori, nelle capanne nei boschi della zona. Se le donne stendevano le lenzuola, era il segnale che c’erano i tedeschi, e non rientravano a casa. Poi salì ai monti con una dozzina di ragazzi del suo paese, fino al monte Picchiara. Divenne partigiano della Colonna “Giustizia e Libertà” con il nome di battaglia di “Pellegro”. Fece una sola azione, l’attacco alla caserma di Padivarma. Poi fu assegnato al centro di lancio del Picchiara, dove distribuiva le armi dei lanci degli Alleati. Il suo capo era Argilio Bertella “Argì”, comunista lericino. Durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945 si nascose, per cinque giorni e cinque notti, in un canalone.
La notte del 24 aprile dormì in una casa dello zio, alla Foce. Il mattino dopo scese giù, verso la città, e incontrò gli americani che stavano salendo verso Genova. Ecco il suo racconto: “Ci salutammo dicendo ‘Kaputt’ contro i tedeschi. La strada in un tratto era bloccata, loro la ripulirono in breve tempo con un bulldozer… Noi conoscevamo solo pala e picco! Incontrai gli altri partigiani, le strade erano pieni di fiori per terra, che la gente ci lanciava dalle finestre”.
IL 25 APRILE – IL RACCONTO DI RINO MOZZACHIODI
Rino Mozzachiodi, classe 1928, nell’aprile 1945 aveva 16 anni e mezzo. Abitava, come adesso, a Cosanada, un pugno di case a Sommovigo, poco sopra la Foce. Suo padre Dario, partigiano della Brigata “Centocroci”, era stato fucilato dai nazisti il 10 novembre 1994 alla Nevea, sempre in quella zona. Nel forte di Visseggi, durante l’occupazione, stazionavano sei soldati tedeschi: i nazisti, dopo l’8 settembre 1943, avevano preso i potenti cannoni del forte per portarli al fronte -spiega Dino- e li avevano sostituiti con cannoni più vecchi. Dopo la sconfitta di San Benedetto, i tedeschi scesero verso la Foce: volevano consegnarsi agli Alleati e non ai partigiani, pensando di rischiare di meno. Dario li vide, con le mani alzate e i fucili a tracolla. Incontrarono i partigiani che stavano anch’essi scendendo verso la Foce, diretti a Spezia. Era il 25 aprile. Cinque tedeschi deposero le armi, uno ci ripensò, stava per sparare. I partigiani reagirono e li uccisero tutti e sei. Furono poi sepolti nel cimitero di Marinasco e portati in Germania dai parenti, a guerra finita. “Una morte assurda -dice Rino- i tedeschi potevano arrendersi, i russi erano già a Berlino… anche voler combattere a San Benedetto fu da parte loro un atto inspiegabile, perché del tutto inutile”. Un altro tedesco fu ucciso in uno scontro a fuoco lungo la strada del Parodi. Rino continua così il suo racconto: “Ero a casa, vidi tre tedeschi sparare da Sommovigo contro partigiani che scendevano dal Parodi: erano gli unici tre rimasti. Avevo un moschetto nascosto sotto terra, nel campo di casa, andai a prenderlo e sparai da una finestra. I tedeschi si sentirono circondati e scapparono. Io non so se ferii uno di loro di striscio o se colpii il suo fucile… A casa mia davamo ospitalità a un anziano che abitava lungo la strada del Parodi, i tedeschi avevano fatto saltare un pezzo di strada e la sua casa, erano morte quattro donne… Il vecchio si spaventò, volle prendermi il moschetto, accidentalmente parti un colpo che mi perforò il piede”. Rino mi porta in una stanza della casa, nel pavimento c’è ancora il buco: “Prima o poi toglierò la mattonella e troverò il proiettile”. Subito dopo i partigiani, mentre lui era nel letto a farsi medicare dalla madre, vennero a baciarlo e a ringraziarlo.
Gli Alleati, conferma Rino, non scesero dalla Foce verso Spezia ma andavano in direzione Genova: “Guarii subito, trovai due loro cassette porta nastro per le mitragliatrici, che ho conservato: erano lungo la strada, dopo la Foce, verso Genova”.
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