La carta, il trionfo della morte e l’ospitalità della città vecchia
Città della Spezia, 11 febbraio 2018
GLI SCAMBI: TRA ORIENTE E OCCIDENTE FU UNA STORIA SOLA
La carta per oltre cinquecento anni fu confinata in Cina, poi fu introdotta in Giappone (610 d. C.) e in Asia centrale: nel 757 degli artigiani cinesi la producevano a Samarcanda. Fu in quel periodo che la carta divenne uno dei beni di maggiore circolazione lungo la Via della Seta.
Un po’ fuori Samarcanda, a Koni Ghil, abbiamo visitato la cartiera “Meros”, dove si fabbrica artigianalmente la carta usando le antiche tecnologie di Samarcanda. La corteccia di gelso, la materia prima, viene sfilacciata con un coltello per isolare la parte esterna (che verrà usata per la carta scura) dalla parte interna, che viene fatta bollire per un lungo periodo. Ridotta a poltiglia, viene poi pestata da un mortaio azionato da una ruota mossa dall’acqua; immersa nell’acqua viene pressata in un telaio e quindi asciugata. Per rimuovere la ruvidità della carta, il maestro la lucida su un tavolo di granito con un pezzo di granito o un corno d’osso: la carta di Samarcanda ottiene così la sua famosa levigatezza. Il suo colore caratteristico è giallo. Non è sbiancato con sostanze chimiche, e quindi la durata di conservazione della carta è molto più lunga di quella di un semplice foglio bianco. Un normale foglio bianco di buona qualità dura per 40-50 anni, la carta di Samarcanda dura 300-400 anni.
La storia degli scambi tra Oriente e Occidente, mi spiega Franco Cardini, non finisce mai di stupire. La bussola, per esempio, fu scoperta dai cinesi, inizialmente per leggere nel futuro, poi per navigare; in seguito divenne appannaggio dei timonieri persiani e da lì giunse nel Mediterraneo, grazie probabilmente ai marinai di Amalfi.
Un altro esempio di quanto profondi potessero essere gli scambi tra Europa e Asia è quello delle miniature ottomane: alcune delle più belle non si trovano in Asia, ma nelle biblioteche di Parigi, Bologna e Venezia.
Ma forse sono i tulipani che, più di altre cose, rappresentano al meglio il percorso della Via della Seta. Divennero il simbolo dei Paesi Bassi, ma tutto cominciò molto prima: i primi tulipani spuntarono tra le catene montuose a nord dell’Himalaya.
GLILO SHAI – I – ZINDA E IL GUR-AMIR: IL TRIONFO DELLA MORTE
La visita a Samarcanda, prima tappa del viaggio nella Via della Seta, prosegue. Dopo il Reghistan e la Moschea di Bibi Khanum -di cui ho scritto domenica scorsa- tocca all’altra grande gloria artistica e architettonica di Timur, il Grande Emiro: lo Shai – i – Zinda, una “montagna sacra”, un viale con una ventina tra portici, moschee, cappelle e mausolei. Cardini suggerisce un confronto con i nostri Sacri Monti, come quelli di Varallo Sesia e di Monselice. Qui Timur e poi il nipote Ulugh Beg seppellirono i membri della loro famiglia e le persone loro predilette.
Timur è invece sepolto nel Gur-Amir: un grande complesso monumentale, all’interno del quale lui riposa in una tomba di giada verde scuro. Nel 1740 uno scià la portò in Persia, dove accidentalmente si ruppe in due. Si dice che da quel momento lo scià abbia avuto una serie di sventure, superate quando rimandò la lapide a Samarcanda. Un antropologo sovietico aprì la cripta nel 1941, e si dice che vi trovò la scritta “Chiunque aprirà questa tomba sarà sconfitto da un nemico più terribile di me”. Il giorno dopo la scoperta, il 22 giugno, Hitler attaccò l’Unione Sovietica.
GLIULUGH BEG, PRINCIPE SCIENZIATO
I resti dell’Osservatorio di Ulugh Beg, sovrano che succedette al padre Shah Ruck, figlio d Timur, sono una delle grandi scoperte archeologiche del XX secolo. Ulugh Beg è famoso come astronomo: il suo astrolabio di 30 metri, progettato per osservare la posizione delle stelle, faceva parte di un osservatorio di tre piani che fece costruire tra il 1420 e il 1430. E’ rimasta solo la parte ricurva dello strumento. Il cielo si poteva studiare, “ravvicinato”, non tanto grazie all’altezza della rampa fornita di scalini elevata in direzione sud-nord, quanto a un sapiente gioco di specchi. Il principe, con questa rudimentale attrezzatura, riuscì a determinare le coordinate di oltre un migliaio di stelle e fece ricerche planetarie valide ancora oggi. Ma, spiega Cardini, questi suoi studi furono forse la causa diretta della sua fine: la sua fiducia nelle conquiste scientifiche e nel metodo sperimentale suscitò le critiche dei teologi. Ulugh Beg scrisse questo verso:
“Le religioni si dissipano come la nebbia,
gli imperi si smantellano,
ma le tracce dei lavori dei sapienti restano per l’eternità”.
GLILE ROVINE DI ISHRAT-KHANA
Nella Samarcanda sfavillante e sfarzosa, dove tutto è oggetto di restauri se non di rifacimenti, colpiscono le rovine del Mausoleo di Ishrat-Khana, una tomba del IX secolo. La cupola della sala centrale è crollata. Sembra di essere nella Samarcanda zarista o sovietica, le cui fotografie abbiamo visto nei musei. Di fronte si trova il mausoleo di Hodja Abdi Darun, che condivide la corte con una moschea e con una grande vasca ed è ombreggiata da quattro frondosi platani.
GLIDOV’ E’ LA CITTA’ VECCHIA?
Negli ultimi anni gli urbanisti hanno ridisegnato completamente Samarcanda in modo da nascondere alla vista dei turisti le zone più vecchie e popolari della città. Anche a Samarcanda ci sono i muri: orribili muri eretti attorno al Reghistan e al Gur-Amir. Sono entrato in questi quartieri popolari (mahalla). Le case sono semplici e povere, lungo le stradine scorre l’acqua di scolo. Il quartiere ebraico è bellissimo: si possono ammirare la splendida Moschea di Koroboy Oksokol, la piccola Moschea di Mubarak, gli hammomi (bagni), purtroppo non più funzionanti, e la Sinagoga Gumbaz, costruita nel 1891 per gli ebrei di Bukhara giunti a Samarcanda . Ne sono rimasti una cinquantina. Ma nel cuore dell’Islam c’è una sinagoga.
GLIL’OSPITALITA’ DEGLI UZBEKI
In questi quartieri ho conosciuto gli uzbeki. I vestiti delle donne sono davvero belli, per i colori sgargianti. Le gonne sono lunghe fino al ginocchio o portate sopra pantaloni dello stesso tessuto. Colpiscono le sopracciglia delle donne: sono molto folte e a volte infittite con il trucco. Tutto il contrario che da noi! I più anziani hanno quasi tutti qualche dente d’oro. Il senso di ospitalità degli uzbeki è straordinario. Una volta passeggiavo da solo, mi hanno fermato e “obbligato” a entrare in una casa per bere una tazza di tè. Ci si intendeva con i gesti. Per strada i ragazzi mi fermavano per chiedermi la nazionalità: una volta, alla mia risposta “Italiano!”, sono seguite le parole: “Juve, Milan?”. Ho detto “Juve”, e il ragazzo: “Del Piero! Yuk (no), Milan, Shevchenko!”. Era milanista per via di un campione ucraino: evidentemente qualcosa di “sovietico” è rimasto in loro, mi sono detto. In una famiglia abbiamo mangiato un ottimo plov, il piatto nazionale: riso pilaf accompagnato da carne di montone, cipolle, carote, ceci, uvetta, frutta. Prima abbiamo goduto lo spettacolo: tutta la famiglia è stata impegnata a cucinarlo in un enorme calderone chiamato kazan. La frutta di Samarcanda è buonissima, dai cachi ai melograni, dai meloni alle mele. Lo scrittore francese di viaggi Bernard Ollivier ha scritto: “Il viaggio verso Samarcanda, qualunque cosa se ne dica, si potrebbe giustificare anche soltanto per il gusto della frutta che ci si trova d’autunno”. Gli uzbeki adorano in particolare la frutta secca, e si capisce perché: è anch’essa buonissima. Il bazar è il regno della frutta, e di tutto ciò che è commestibile. Ma ciò che più ci attira sono le spezie, disposte a mucchi dai colori brillanti. Come è sempre accaduto nella Via della Seta.
Giorgio Pagano
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