Sfida delle autonomie e rischio propaganda
Il Secolo XIX nazionale, 11 gennaio 2018 – Più aumenta la crisi, economica e politica, più c’è richiesta di istituzioni prossime ai cittadini. Nell’attuale “post-democrazia” si affacciano confusamente, in tutta Europa, spinte indipendentiste e autonomiste. In Italia la tendenza vede alcune Regioni del Nord, tra cui la Liguria, chiedere più autonomia e più risorse: Il “sindacalismo della paura, intriso di sovranismo”, come ha scritto il sociologo Aldo Bonomi.
La sfida vera,in realtà,è quella di una nuova articolazione degli Stati nazionali nei rapporti con l’Europa e con le autonomie territoriali. La forza trainante dello sviluppo europeo è sempre sprigionata, nei secoli, da sistemi territoriali di area vastacon una chiara identità produttiva e un forte capitale sociale, frutto della collaborazione tra istituzioni e società civile. Sistemi spesso preesistenti alla nascita degli Stati nazionali, e che anche in futurosaranno decisivi per lo sviluppo. Il futuro è infatti negli Stati Uniti d’Europa, cioè in una devoluzione del potere dagli Stati nazionali verso l’alto; ma è anche nell’autogoverno dei sistemi territoriali, cioè in una devoluzione del potere dagli Stati nazionali verso il basso, per restituire libertà e creatività ai territori.Se l’Europa fosse quell’entità politica federale che ne ispirò il progetto originario, essa potrebbe ben sostituire gli Stati nazionali, lasciando liberi ampi spazi di autogoverno territoriale: alle macroregioni, più che ai venti piccoli “staterelli” attuali, e anche alle città, perché sono in primo luogo le città l’elemento di rottura verso il sistema centralistico e il luogo dell’attivazione diretta dei cittadini.
Purtroppo il dibattito attuale si concentra più sui temi puramente finanziari -come trattenere più risorse sul territorio- che sui contenuti della devoluzione verso il basso e sulla conseguente riorganizzazione istituzionale. Ma, tanto più in un quadro di risorse scarse, non è l’approccio giusto. Il rischio è la moltiplicazione dei livelli tributari e la somma degli oneri della centralizzazione con quelli del decentramento, senza avere benefici né dagli uni né dagli altri.Il problema è che la riforma federalista presuppone un nuovo “disegno” sia istituzionale che economico, di cui oggi non si vede traccia. Del resto viene proposta dalla destra, che quando governò con Berlusconi e Bossi, nonostante quest’ultimo fosse il Ministro delle Riforme per il federalismo, tenne tutto nel cassetto. E viene sostenuta dal Pd, che dopo la brutta riforma del Titolo V di devoluzione verso il basso del 2001 ripiegò nel centralismo antiregionalista della proposta di riforma Renzi-Boschi bocciata dagli elettori nel 2016. Dall’alto di questi poteri, così poco credibili, è lecito aspettarsi poco: il rischio è la propaganda.L’unica speranza è un rilancio dal basso, in primis nelle città, dell’autogoverno territoriale e di una sana spinta identitaria verso i propri luoghi.
Giorgio Pagano
Membro del Comitato Promotore dell’Osservatorio Civico Ligure, già Sindaco della Spezia
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