“Un atto d’amore a Sao Tome’ e una nuova visione dell’Africa e della cooperazione” di Paolo Dieci presidente di Link 2007
“Un atto d’amore a Sao Tome’ e una nuova visione dell’Africa e della cooperazione”
di Paolo Dieci presidente di Link 2007
Roma 7 Maggio 2017
SAO TOME’ E PRINCIPE – DIARIO DO CENTRO DO MUNDO
Presentazione del libro di Giorgio Pagano
Principale merito del libro, arricchito da una bellissima introduzione di Giampaolo Calchi Novati (che peraltro incontrai l’ultima volta qui al Griot alla presentazione di un libro sul Corno d’Africa): essere una porta di ingresso in un paese, dare la possibilità di conoscerlo “dal di dentro” anche a chi non vi è mai stato. Un atto d’amore, di condivisione molto profondo.
Una nota sull’autore: Giorgio Pagano ha precorso i tempi, capendo prima di altri che amministrare il proprio territorio significa anche aprire uno sguardo molto oltre i propri confini. Fare cooperazione internazionale, a Sao Tomé, ma anche in Palestina, non è un di più, è il modo più concreto di gestire anche in un contesto locale, dinamiche globalizzate. E’ emblematico al riguardo un capitolo del libro “Sostegno a paesi poveri occasione per la Liguria”, dove, facendo riferimento a quanto emerso nel convegno dall’associazione ligure del commercio estero si delinea il percorso di partenariati strategici tra imprese ligure e locali, soprattutto nel settore turistico, sulla scia di esperienze di successo di imprenditori italiani nel paese.
Il libro è molto ricco, con una struttura narrativa molto articolata. E’ all’apparenza solo un diario ma in realtà oltre che un diario è anche un approfondimento sul paese e sul senso del fare cooperazione, a Sao Tomé, ma più in generale in Africa.
E’ un libro che si articola in 4 parti. La prima è un omaggio al paese, bellissimo e poverissimo. Colpisce un dato riportato nella sezione “Chi resta è un eroe” espressione di Suor Lucia a Neves. Un terzo della popolazione è emigrato nel giro di pochi anni, principalmente in Portogallo, ma anche in Spagna e Francia e in misura minore qui nel nostro paese. Pagano prende spunto da questo dato per esprimere la sua visione del tema migratorio, tutta centrata sui diritti e cita Bauman, che parla di una fusione di orizzonti, una nuova solidarietà tra gli umani. Mi viene da dire che in un momento come questo, nel quale si stigmatizza l’attività di salvataggio in mare dei migranti, questo richiamo è quanto mai prezioso e attuale. Però anche il diritto a rimanere, affinché la migrazione sia una scelta e non una fuga, non la sola possibilità.
Come costruire lavoro, sviluppo, opportunità? Ripercorrendo strade già intraprese altrove, si chiede l’autore, o sviluppando davvero – non a parole – strategie di sviluppo sostenibile, nel campo del turismo, della pesca e in genere della valorizzazione delle risorse? L’autore è nettamente per questa seconda ipotesi, in piena sintonia con quanto la comunità internazionale ha adottato con l’agenda 2030 sugli SDGs.
“Il modello di sviluppo futuro di STP non potrà che essere … diversificato e con più vocazioni: certamente ancora l’agricoltura, la pesca e l’allevamento; certamente l’industria, ma con un’attenzione alle risorse naturali tale da non ostacolare la vocazione terziaria e turistica in particolare … E le imprese? Dovranno essere sempre più saotomensi o frutto di una partnership tra lo Stato e le imprese di STP e le imprese straniere …”. E’ un punto di vista che faccio al 100% mio, non solo in riferimento a Sao Tomé ma più in generale all’Africa. Anche perché se vista con questa lente, la cooperazione con e per l’Africa va molto oltre i confini semantici della filantropia e abbraccia finalmente il partenariato, il co-sviluppo, basandosi sulla condivisione di interessi.
E’ chiaro che questa impostazione apre la strada al partenariato tra ONG, enti locali ed imprese ed è del resto questo partenariato, da quanto abbia compreso, il significato più profondo dell’esperienza di Januaforum, avendo avuto il piacere e l’onore di partecipare alle prime esperienze fondative di questa realtà. Certamente in Italia siamo in ritardo. Basti pensare al fatto che sia nella legge 49 del 1987 e sia in quella attuale (125 del 2014) la cooperazione italiana allo sviluppo prevede un fondo di credito agevolato per la costituzione di imprese miste italo- … e che il fondo è in realtà finora rimasto largamente inutilizzato. Rimbocchiamoci le maniche, continuiamo a lavorare in questa direzione. Questo libro è un concreto contributo in questa direzione.
La seconda parte del libro è sui partenariati territoriali. Già il titolo è istruttivo: dalla cooperazione tra comuni al partenariato tra comunità.
Emerge dalle pagine di questa parte del libro una visione moderna dei partenariati territoriali, concetto molto più ampio di quello, tradizionale, di cooperazione decentrata. Gli enti locali, oltre che cooperare tra loro, hanno la funzione storica di mettere in rete i propri territori. Qui lo sguardo è oltre i confini di Sao Tomé e abbraccia altre situazioni, dal Niger, al Madagascar, alla Libia. C’è anche una severa disamina della mancanza di coerenza della nostra politica estera, che stenta a mantenere gli impegni finanziari sulla cooperazione allo sviluppo, ben lontani dalla soglia dello 0,7% del PIL a più riprese auspicata in varie assisi internazionali. Un tema molto sviluppato in questa parte del libro è quello del decentramento amministrativo, visto come essenziale per lo sviluppo. E’ il tema a cui si dedica l’associazione Funzionari Senza Frontiere, nata nel 2010 con lo scopo di accompagnare i processi di rafforzamento delle amministrazioni locali in partenariato con omologhe realtà europee, non solo in Africa, ma anche, ad esempio in Palestina. E’ un tema molto attuale. Non ripeto qui le riflessioni dell’autore, che ancora una volta condivido e ne aggiungo un paio tratte dall’esperienza di cooperazione del CISP. Una prima riflessione riguarda il ruolo che il partenariato ONG – enti locali può avere nella strutturazione di servizi anagrafici. Stiamo ad esempio lavorando molto su questo nel nord dell’Etiopia e non c’è dubbio che si tratti di un passaggio inevitabile anche per una migliore gestione dei flussi migratori. E’ difficile per le amministrazioni locali monitorare tali flussi senza un quadro preciso dell’articolazione demografica sul proprio territorio. Un secondo tema riguarda la prevenzione dei conflitti. Ciò che in Europa ci appare quasi sempre come frutto della contrapposizione etnica è in realtà spesso competizione esasperata per l’accesso alle risorse, con governi centrali molto spesso percepiti – a torto o a ragione – come espressioni di potere di uno specifico gruppo. Dare autonomia di gestione delle risorse, ovviamente entro un quadro strategico s’assieme, alle amministrazioni locali può essere – ed in alcuni casi è, come dimostrano ad esempio i positivi risultati di un progetto in Kenya – un antidoto all’esasperazione dei conflitti.
Ancora una volta, l’attenzione di Pagano è sul tema delle migrazioni, ingovernabile senza una lungimirante politica euro – africana, anche alla luce dei trend demografici qui in Europa e in Africa, come noto contrapposti.
La terza parte è sull’Italia, il Mediterraneo e l’Africa. L’autore riporta una frase molto bella del compianto Predrag Matvejevic, il grande intellettuale e scrittore recentemente scomparso: “il Mediterraneo resta un mare lacerato e non riesce ancora a diventare un progetto”. E’ vero, ed è uno degli obiettivi più importanti ai quale guardare. Del resto chiunque abbia frequentato e lavorato nelle diverse sponde del Mediterraneo si è potuto accorgere che i legami culturali, paesaggistici, naturali sono forti. La zona di libero scambio prevista dalla dichiarazione di Barcellona del 1995 è purtroppo lontana dall’essere una realtà. Tuttavia rimane un obiettivo strategico essenziale, anche per la nostra economia. Un’Europa che non guardi ai suoi confini non avrebbe alcun senso e soprattutto alcun ruolo nella soluzione dei conflitti che attraversano la regione e il Medio Oriente. Ancora, citando Matvejevic “bisogna superare nel Mediterraneo la distanza tra identità dell’essere e identità del fare” e realizzare grandi progetti transnazionali. L’autore ne cita alcuni: disinquinamento marino, università euro mediterranea, sviluppo di imprese miste. Per vincere le sfide della globalizzazione, viene da dire, serve una politica globale e globalizzata. Se questa è una scelta da fare per l’Europa, lo è ancora di più per l’Italia, la cui identità storica, culturale e geografica è tutta legata al Mediterraneo. E’ interessante l’indagine del CENSIS riportata nel libro secondo la quale gli italiani attribuiscono all’Italia un’identità più mediterranea che europea. L’85,6% degli italiani è convinto che esista una cultura mediterranea condivisa. Non ho fatto personalmente parte del campione di indagine ma se ne avessi fatto parte avrei contribuito a rafforzare questa tendenza. E’ vero: esiste un’identità mediterranea. In innumerevoli occasioni, in Palestina, in Algeria, in Albania, in Tunisia mi è capitato di ascoltare interlocutori locali per i quali l’Italia molto più di altri paesi può avere un ruolo forte nell’accompagnamento di processi di pacificazione e di sviluppo alla luce della vicinanza culturale e di una storia comune.
L’analisi sul Mediterraneo e sull’Africa porta a una riflessione molto concreta sul ruolo della cooperazione allo sviluppo e sui nuovi paradigmi ai quali ispirarsi. Alla solidarietà vanno accompagnate visioni strategiche d’insieme che valorizzino interessi comuni e condivisi, anche di tipo economico. Occorre però, ricorda l’autore, una vera politica estera, non improvvisata. Nel libro ci si riferisce alle contraddizioni della nostra politica nel periodo a cavallo tra gli ultimi anni del governo di Gheddafi e i primi dopo la sua scomparsa. La mancanza di coerenza, di linearità, di visione complessiva alla lunga compromettono la credibilità di un paese agli occhi delle popolazioni e ne indeboliscono il ruolo di attore politico sulla scena internazionale.
Dell’ultima parte del libro, intitolata l’esempio, ho scelto l’omaggio a Pier Paolo Pasolini, perché è una delle personalità della nostra cultura che mi è più cara. Mi piacciono molto le pagine dedicate a Pasolini dal libro perché danno il senso della visione dell’Africa dello scrittore. Non era una visione romantica o nostalgica a spingere Pasolini a guardare all’Africa come a un luogo dove sopravviveva il senso del sacro, che i suoi contemporanei avevano perso. Era, potremmo dire oggi, un consapevole rifiuto della dittatura del pensiero unico per il quale sviluppo, modernità, omologazione e obbedienza cieca alle leggi del mercato sarebbero ineluttabili strade verso la felicità. Non è così. Non è così in Africa ma in realtà neanche qui da noi. Noi abbiamo consumato troppo e le generazioni a venire ne pagheranno il costo. Una visione dello sviluppo ispirata all’enciclica Laudato Sì, peraltro ampiamente citata nel libro, è quanto di meno nostalgico e più moderno oggi si possa pensare.
Popularity: 4%