“L’Europa che manca” Avanti Popolo – Festa della Cgil spezzina 8 settembre 2016 Intervento di Giorgio Pagano
L’Europa manca davvero. Pensare che, se fosse unita, avrebbe vinto l’Olimpiade di Rio come numero di medaglie. E invece è ai suoi minimi storici: l’Europa non è più vista come un fattore di progresso. E manca, nelle sue classi dirigenti, una visione di lungo periodo per superare la crisi/decomposizione. Qualcuno parla di “suicidio”: il fallimento è provocato in gran parte dalle politiche autolesioniste dell’Unione europea.
Per comprendere le ragioni di questo fallimento/suicidio occorre muovere da un dato: non è vero che l’Europa non è una federazione; in senso giuridico la è già, la maggior parte delle nostre leggi sono, direttamente o indirettamente, di origine europea; la è dal punto di vista giuridico ed economico, non la è dal punto di vista politico. Perché è senza unità politica e senza democrazia. E’ questo il vero, gravissimo problema che rischia oggi di provocare il crollo dell’Unione. Al venir meno delle sovranità nazionali dei singoli Stati non hanno corrisposto né l’affermazione di una sovranità politica dell’Unione, né l’istituzione di un governo politico democratico europeo. Un federalismo giuridico privo di un governo politico federale non è a lungo sostenibile. I suoi risultati sono tre, tutti disastrosi:
– l’Ue non persegue un bene comune europeo; nella competizione prevalgono gli interessi degli Stati più forti
– gli Stati membri hanno abdicato al loro ruolo di intervento nell’economia e di garanzia dei diritti sociali: da qui lo smantellamento del welfare; ai passi indietro degli Stati hanno corrisposto altrettanti passi avanti dei mercati
– il crollo dello spirito pubblico comunitario e del sentimento di unità delle popolazioni europee
Ecco il grande vizio di origine: la creazione di un’unione giuridica ed economica prima dell’unione politica. Senza una sovranità politica europea c’è la sovranità dei mercati, ai cui dettami la politica europea è subordinata. Si sono messi in secondo piano i fini rispetto ai mezzi (l’economia).
Quindi: regressione dello Stato sociale e ristrutturazione in senso antidemocratico del sistema dei poteri: dai Parlamenti ai Governi, dai partiti popolari ai partiti liquidi e personali; onnipotenza della politica sulla società e sua impotenza rispetto all’economia e alla finanza; ribaltamento del rapporto tra Stato e mercato; trionfo dell’ideologia culturale neoliberista e totale abdicazione delle sinistre.
Il risultato di questi processi è stato una crisi radicale dell’identità dell’Europa.
Questa crisi radicale ha come simboli due tragedie: come l’Ue ha trattato la Grecia (impartire una lezione a tutti i Paesi indebitati) e la xenofobia razzista, soprattutto a est. La prima tragedia è stata promossa con successo dalla Germania, la seconda è stata contrastata proprio dalla Germania, ma questa volta con un insuccesso. A dimostrazione del fatto che le vere norme dell’Ue non sono più le Costituzioni ma le regole dei mercati.
Sulla Germania sono molto critico. I tedeschi hanno costruito una narrazione che li vede virtuosi: in realtà hanno danneggiato i poveri in Germania e ottenuto un vantaggio competitivo a spese delle altre nazioni europee. E’ la “politica del rubamazzo” ( così la definisce l’economista Stiglitz). Vengono in mente le parole del vecchio Helmut Schmidt, patriarca della socialdemocrazia: “Abbiamo bisogno di proteggerci da noi stessi” (2011).
Il governo dell’Ue si è trasformato in una tecnocrazia. Per il filosofo tedesco Habermas siamo di fronte a “una esautorazione tecnocratica della democrazia”, che è “il risultato di un modello neoliberista di politiche di deregolamentazione dei mercati”. Qualche settimana prima Habermas aveva scritto: “Devono essere i cittadini, e non i banchieri, a dire l’ultima parola sulle questioni essenziali per il destino dell’Europa”
Oggi è dominante l’acronimo T.I.N.A (There Is No Alternative); ma esistono sempre alternative! Anche in Europa, come dimostrano le nazioni che hanno dato meno retta all’austerity, quelle scandinave, che oggi stanno meglio delle altre… Le risorse ci sono, ed è compito della politica trovarle attraverso adeguate politiche fiscali. E’ dalla redistribuzione della ricchezza e dalla lotta alle diseguaglianze che dipende qualunque tipo di governo futuro. Un reddito di cittadinanza europea avrebbe un enorme rilevanza politica e sociale, in grado di cambiare la percezione dell’Europa.
Rinegoziare e rifondare l’Europa, con i cittadini che devono dire l’ultima parola: revisione dei Trattati per passare dal federalismo giuridico ed economico al federalismo informato ai principi dell’unità e della democrazia; attribuzione al Parlamento europeo di poteri costituenti per una nuova Costituzione che riaccrediti l’Europa: quindi attribuzione di funzioni legislative a un Parlamento eletto su liste europee; istituzione di un governo federale; attribuzione alla Bce dei poteri delle banche centrali; formazione di partiti e sindacati europei; garanzia di un diritto d’asilo europeo…
Ma quale può essere il soggetto capace di rinegoziare e rifondare l’Europa? La condizione è la ripresa del conflitto sociale, una rifondazione dal basso della politica. Come proponevano gli autori del Manifesto di Ventotene. Al di là di tanta retorica, oggi sarebbero manganellati in piazza.
Dobbiamo indagare la nuova realtà popolare, che conosciamo e comprendiamo poco. Altrimenti la via d’uscita sarà a destra. Lech Walesa, quando non era ancora quello che divenne più tardi, saltava sugli autobus per parlare alla classe operaia. Questa è la sinistra che manca. Mi viene in mente il treno pugliese per pendolari della tragedia di luglio: studenti, precari, camerieri, badanti, interinali, ragazzi di bottega… Tanti treni, un mondo molto distante dalla narrazione ufficiale del Paese che riparte, delle start up… Le facce che credevamo estinte con la modernità avanzata stanno tornando… Pasolini aveva ragione ma anche torto. Walesa si comportava come un populista, qualcuno direbbe oggi: ma in pochi anni guidò il suo Paese verso la democrazia. Dobbiamo fare come lui, incontrare su quei treni lenti i viaggiatori lenti, gli umili e gli oppressi di oggi.
Esprimo questa speranza con le parole di una giovane donna, Agnese, impegnata in un’associazione di volontariato: “Non abbiamo bisogno di predicatori della sinistra. Ma di testimoni appassionati e coerenti, con un immaginario che li porti a guardare sempre avanti e una connessione intima con gli altri esseri umani. Gli interlocutori percepiscono se parli di sinistra, o se invece quello che ti muove è l’amore per le persone che è alla base di quelle idee di eguaglianza e dignità che la sinistra ha sempre fatto sue. Se al centro c’è la persona, con le sue sofferenze e le sue bellezze, e non invece l’ego narcisista di chi pretende di lottare in suo nome. E noi, spesso, ci siamo innamorati delle parole e delle idee, invece che delle persone”. Se sapremo essere, personalmente e tutti insieme, testimoni ed esempi viventi di questa idea della politica, allora una grande sinistra popolare potrà forse essere ricostruita.
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