Giorgio Pagano presenta “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945” a Genova, a 56 anni dalle lotte del 1960
Mercoledì 29 giugno ore 17 Casa della Resistenza
GIORGIO PAGANO PRESENTA
“EPPUR BISOGNA ARDIR. LA SPEZIA PARTIGIANA 1943-1945”
A GENOVA, A 56 ANNI DALLE LOTTE DEL 1960
Mercoledì 29 giugno ore 17 Casa della Resistenza
Il libro di Giorgio Pagano “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945”, dopo le affollate presentazioni alla Spezia, Sarzana, Levanto, Lerici, Sesta Godano, Migliarina, Follo, Valmozzola, Pontremoli, Arcola, Sestri Levante e Massa verrà presentato mercoledì 29 giugno alle ore 17 a Genova, alla Casa della Resistenza (via Pastorino 8). L’iniziativa è organizzata dal Municipio V Valpocevera con la collaborazione dell’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, dell’Anpi e della Casa della Resistenza. Interverranno il Presidente della Fondazione Palazzo Ducale Luca Borzani, la Presidente del Municipio V Iole Muruni e il Presidente dell’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea Mino Ronzitti. Modererà Nadia Benzi, del Comitato Scientifico della Casa della Resistenza; sarà presente l’autore.
Il libro, edito da Cinque Terre, è una storia della Resistenza nella IV Zona operativa, fatta rivivere attraverso le testimonianze dei protagonisti, le ragazze e i ragazzi di settant’anni fa. “Eppur bisogna ardir” si apre con la prefazione di Donatella Alfonso, giornalista di “Repubblica” e scrittrice, e prosegue con l’introduzione dell’autore e i tre capitoli “La Storia”, “Racconti e ritratti” e “Facio e Laura” (si tratta delle pagine dedicate alle figure di Dante Castellucci “Facio”, partigiano ucciso da altri partigiani, e della sua compagna Laura Seghettini).
La conclusione è affidata al saggio “La Resistenza e la sua eredità 1945-2015”, una riflessione su come trasmettere ai giovani la scelta morale e la concezione della politica della Resistenza e su come far sì che l’antifascismo e la Costituzione siano alla base di uno “spazio repubblicano” condiviso da tutti gli italiani. Non a caso il libro viene presentato a Genova il 29 giugno, 56 anni dopo i fatti genovesi del 1960. Quella lotta segnò una svolta e sanò alcuni degli esiti più dolorosi della rottura dell’unità antifascista del 1947-1948. Si tornò, spiega Pagano, a celebrare in forma unitaria il 25 aprile, in una stagione e in un clima culturale in cui l’antifascismo e la Resistenza vennero ricollocati all’origine della Repubblica. “Si può dire -scrive l’autore- che solo a quasi vent’anni dopo la conclusione degli eventi si cerchi di fare dell’antifascismo un valore largamente diffuso e condiviso, ‘paradigma’ unificante del comune sentire della grande maggioranza degli italiani”. Ma, a partire dalla metà degli anni Settanta, tutto cambiò: la sconfitta del compromesso storico comportò anche la sconfitta dell’antifascismo. “Oggi -sostiene Pagano- i partiti non ci sono più, o almeno non ci sono più quelli veri, radicati nel popolo. Prima l’eredità della Resistenza cercavano, anche se non ci sono mai riusciti fino in fondo, di trasmetterla loro. Ma oggi? Dobbiamo ripartire dalle persone, dalle donne e dagli uomini semplici che hanno fatto la Resistenza, che sono i protagonisti delle tante piccole storie di questo libro. Ma ripartire anche, più in generale, dalle donne e dagli uomini semplici della nostra storia del dopoguerra e di oggi. Non dai poteri costituiti, ma dai germogli che nascono dal basso, dalla società”.
Il titolo del libro è quello di un verso originario di “Fischia il vento”, la canzone più amata dai partigiani ai monti. Giorgio Pagano spiega così lo spirito che pervade il libro: “L’ardore, inteso come coraggio morale, è il tema di questo libro. Perché, come disse Robert Kennedy, ‘il coraggio morale è merce più rara del coraggio in battaglia o dell’intelligenza’. Settant’anni fa ognuno si trovò solo di fronte alla propria scelta. Ogni partigiano ebbe un suo personale ‘ardir’: da tutte queste storie individuali sorse una storia collettiva. Fu la dimensione morale, che Piero Calamandrei indicava come una sorta di impulso diffuso, generato ‘da una voce sotterranea’, a indicare agli italiani la via della ribellione e del riscatto. Le ombre della Resistenza, che pure ci furono, non scalfiscono la luce della dimensione morale. Il valore del coraggio morale dei partigiani è più che mai attuale in una fase in cui è del tutto assente dalle qualità degli uomini pubblici, sostituito dall’accondiscendenza supina e dalla cedevolezza d’animo. Di coraggio morale abbiamo bisogno per tornare alla politica-virtù contro la politica-cinica tecnica del potere”.
La presentazione di “Eppur bisogna ardir a Genova. La Spezia partigiana 1943-1945” di Giorgio Pagano, organizzata dal V Municipio in collaborazione con l’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, la Casa della Resistenza e l’Anpi, è stata soprattutto un’occasione, a 56 anni dalla lotta genovese del 1960, per discutere dell’eredità della Resistenza, tema a cui è dedicato il saggio conclusivo del libro. Nadia Benzi, della Casa della Resistenza, ha introdotto l’incontro definendo “Eppur bisogna ardir” un libro “scritto con il rigore dello storico ma adatto anche a un pubblico vasto, in particolare ai giovani delle scuole”. La Benzi si è soffermata in particolare sul capitolo del libro intitolato “Facio e Laura”, dedicato all’uccisione del partigiano Dante Castellucci “Facio” per mano di altri partigiani: “dobbiamo fare luce su questi episodi perché conoscere le ombre serve a fare emergere e a fare apprezzare di più le luci della Resistenza”. “Libro ricco di emozioni e riflessioni”, lo ha definito Mino Ronzitti, presidente dell’Ilsrec, che evita l’agiografia anche mettendo in luce la Resistenza non solo come “guerra nazionale” e “guerra sociale” ma anche come “guerra civile” contro i fascisti. Sull’eredità della Resistenza Ronzitti ha detto: “le forze politiche che avevano fatto la Resistenza e avevano saputo scrivere la Costituzione negli anni successivi si diedero due progetti radicalmente alternativi e non si identificarono più nell’antifascismo come patrimonio condiviso”. La guerra fredda, ha concluso, “ha impedito di fare i conti con il passato dell’Italia e ha prodotto due rimozioni, sul passato fascista dell’Italia e sulle ombre della Resistenza, come dimostra la vicenda di Facio”.
Infine l’autore: “Cinquantasei anni fa la mobilitazione contro il governo Tambroni e il Msi aprì una fase nuova nella storia del Paese. La sofferta nascita del centrosinistra fu accompagnata da un processo di rilancio della Resistenza e dell’antifascismo. La svolta del luglio 1960 sanò alcuni degli esiti più dolorosi della rottura dell’unità antifascista del 1947-1948. Si tornò a celebrare in forma unitaria il 25 aprile, in una stagione e in un clima culturale in cui l’antifascismo venne ricollocato all’origine della Repubblica. Si cercò di farne un valore largamente diffuso e condiviso, ‘paradigma’ unificante del comune sentire della grande maggioranza degli italiani. Il centrosinistra venne vissuto come una ripresa della collaborazione interrotta nel 1947-1948. Lo schema, in forma più ampia, riaffiorò negli anni ’70, con il compromesso storico. Ma restò sempre il problema dell’anticomunismo: la drammatica contraddizione della vita politica nazionale su cui si infranse la possibilità, per l’antifascismo, di diventare la forma italiana del ‘patriottismo costituzionale’. La sconfitta del compromesso storico comportò, non a caso, la sconfitta dell’antifascismo, che era stato strettamente associato a quella politica. Per molti anni, a partire dagli anni ‘80, antifascismo e comunismo saranno strettamente identificati. L’antifascismo -e, per la prima volta, anche la Costituzione- pagarono un prezzo altissimo: saranno visti come ostacoli alla ‘modernizzazione’ del Paese”. Fino ai giorni nostri: quelli della scomparsa dei partiti e dell’oscuramento delle origine antifasciste della Repubblica”. Pagano ha così concluso: “Ora che anche la seconda Repubblica è finita, che fare? Dal ’45 a oggi è uscita stritolata la Resistenza popolare e civile, delle donne e degli uomini comuni, che avrebbe dovuto essere posta a fondamento del tentativo di formare le ‘virtù civiche’ degli italiani. Ma è da qui che occorre ripartire: dalle persone, dalle donne e dagli uomini semplici che hanno fatto la Resistenza, e poi la storia democratica del dopoguerra e di oggi. Animati dalla stesso coraggio morale di allora, dallo stesso ‘ardir’. Il dibattito costituzionale è un’opportunità: le donne e gli uomini semplici possono dimostrare di voler essere cittadini, non sudditi. Come fecero i ‘ragazzi dalle magliette a strisce’ cinquantasei anni fa. Ed esercitare la ‘mente costituente’ che è mancata ai vertici del potere, difendendo a grande maggioranza lo spirito e la lettera della Costituzione nata dalla Resistenza”.
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