Difendiamo il dialogo politico base della vera democrazia
Il Secolo XIX nazionale, 9 giugno 2020 – Il programma più ambizioso per la ricostruzione del Paese lo ha espresso il Presidente della Repubblica: “C’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro”. Cioè lo spirito costituente e repubblicano, la stella polare che ci guidò nella ricostruzione del dopoguerra e che sola può guidarci nella seconda ricostruzione.
Non si tratta di rimuovere la dialettica politica, anzi: il conflitto non è un accidente da cui dobbiamo liberarci ma una necessità, fisiologica e utile, della vita e della politica. Senza conflitto non c’è democrazia. Ma la democrazia è il gioco del conflitto entro un perimetro comune, quello costituente e repubblicano. Esattamente come nel dopoguerra. Scrisse Vittorio Foa: “Vi è stata allora quella che si potrebbe chiamare una mente costituente, una capacità di guardare insieme agli interessi particolari (individuali, di classe o di partito) e agli interessi generali; di guardare all’oggi e insieme anche al domani. I contrasti politici erano molto forti, ma pur nella evidenza di questi contrasti la Costituente riusciva a toccare un livello altro, e questo altro livello era quello della ricerca comune. Era una democrazia plurale, le differenze erano legittime, si trattava di vivere civilmente nella diversità. Convivere, dunque, non significa negare il conflitto, vuol dire saperlo vivere”.
La questione che sta davanti alle attuali classi dirigenti è innanzitutto questa: saper convivere, contro chi punta a spezzare, a lacerare, a rompere. C’è bisogno di un confronto-scontro sui progetti per il futuro. Ma senza disperdere “la condivisione di un unico destino”, quel senso della socialità e della coscienza degli altri che abbiamo riscoperto in questi mesi e che è l’essenza del sentimento costituente e repubblicano. Nessuna democrazia può vivere senza il conflitto e senza il rispetto. Forze politiche, forze sociali -si pensi alla nuova “irruenza” di Confindustria- e media hanno molto su cui riflettere.
Come ha scritto Alfio Mastropaolo, “esaurita la lotta di classe tradizionale, il punto è che non solo nuovi conflitti incombono sui regimi democratici, ma che questi ultimi sono corrosi da un inquietante processo di disincivilimento”. Quindi il conflitto si acuirà. Va evitato che si acuisca anche il degrado del costume politico e sociale e che si arrivi alla rottura democratica.
Nessuna democrazia può funzionare se per troppo tempo le parti in conflitto rifiutano di disciplinare i toni e di rispettarsi reciprocamente. Stiamo camminando su una lastra fragilissima. E’ più che mai il momento dei “patti senza spada” (Thomas Hobbes) e del “governo mediante la discussione” (Lewis Mumford): non l’impossibile unanimismo, ma l’elaborazione delle differenze, il confronto, la composizione di punti di vista e interessi diversi. Il conflitto c’è e ci fa bene: ma poi dobbiamo negoziare. Alla luce del sole, contro ogni trasformismo. La proposta degli Stati Generali, se ben preparata, è quella giusta. Che cos’è la democrazia se non la conduzione pacifica dell’azione di governo e di soluzione dei conflitti?
Giorgio Pagano
cooperante, già Sindaco della Spezia
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