Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 29 novembre ore 16.30 a Pontremoli
24 Novembre 2024 – 21:44

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
Pontremoli – Centro ricreativo comunale
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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Aiutiamo le vittime, non i carnefici

a cura di in data 15 Aprile 2018 – 08:32
Iraq, Mexmur: il popolo curdo    (2015)    (foto Marco Rovelli)

Iraq, Mexmur: il popolo curdo
(2015) (foto Marco Rovelli)

Città della Spezia, 8 aprile 2018

“Ricordiamoci di Alan Kurdi, quel bambino curdo finito morto riverso sulla spiaggia, che il mondo ha guardato in faccia per un istante, commuovendosi come sempre per interposta persona, per poi assistere il giorno dopo a un nuovo spettacolo che cancella quello del giorno precedente. Ricordiamolo, che migliaia di piccoli Alan Kurdi sono uccisi, o costretti a un esodo immane, dalle nostre bombe”. Sono parole di Marco Rovelli, cantante e scrittore, autore del romanzo “La guerriera dagli occhi verdi”, ambientato nelle terre del popolo curdo. Parole per rompere “il silenzio assordante sul massacro dei curdi” da parte della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, armata con i soldi e le armi dell’Unione europea (“Left”, 30 marzo 2018).
La Turchia ha conquistato Afrin, enclave curda in Siria. 200.000 persone sono prive di acqua, cibo, elettricità. I numeri dell’operazione chiamata paradossalmente “Ramoscello d’ulivo”, scattata due mesi fa, sono tragici: almeno 280 civili uccisi, e 1500 combattenti curdi. E’ successo sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ha fatto niente. Michele Rech, il fumettista italiano conosciuto come Zerocarcare, ha commentato così: “Ma come: i curdi non erano i beniamini dell’Occidente? Alle loro eroiche combattenti abbiamo dedicato pagine di giornali. Ma oggi Afrin è solo l’ennesimo episodio di una guerra sempre più lontana. Ci stiamo assuefacendo all’orrore”.

UN LABORATORIO DI DEMOCRAZIA
Nella confusione e nella drammaticità della situazione in Siria, dal 2011 sconvolta da un conflitto che coinvolge il governo di Assad, l’Isis, Al Qaeda, i curdi e che vede intrecciarsi le ingerenze di Russia, Iran, Turchia e Stati Uniti, c’è una piccola regione che rappresenta un modello di autoorganizzazione democratica: il Rojava, il Kurdistan siriano, nel nord del Paese, al confine con la Turchia. Qui la popolazione non si è solo contraddistinta per la resistenza e la lotta all’Isis, a Kobane in particolare, ma anche per aver saputo sperimentare un modello di democrazia egualitaria, partecipata, multietnica e multiconfessionale, femminista ed ecologista. Una speranza per tutto il Medio Oriente, da troppo tempo disperato. E’ il confederalismo democratico, teorizzato dal leader del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) Abdullah “Apo” Ocalan dietro le sbarre della sua cella nell’isola-prigione turca di Imrali: una terza via tra socialismo reale e capitalismo moderno, basata sull’autogestione. Si parte dalle assemblee di strada, cioè di quartiere, poi di rione, di villaggio, di città, di distretto. Mentre nell’economia le proprietà statali sono state distribuite alle comunità e sono state costituite cooperative agricole. Una pratica che è stata codificata con il Contratto sociale di quattro anni fa, un testo molto avanzato che nulla ha da invidiare alle migliori Costituzioni europee. Una carta che rifiuta l’autoritarismo, il militarismo, il centralismo e l’intervento dell’autorità religiosa negli affari pubblici. Che si impegna all’inclusione tra le diverse etnie e religioni del nord della Siria e che afferma l’eguaglianza di tutti gli individui e di tutte le comunità di fronte alla legge e l’eguaglianza tra gli uomini e le donne. Donne che, nel Rojava, non sono solo le mitiche combattenti ma anche le donne che governano, perché ogni villaggio ha sia un Sindaco che una Co-sindaca. Nessuna mitizzazione: le contraddizioni sono molte, ma un processo rivoluzionario è davvero in corso. Si pensi a come vivevano le madri delle curde di oggi, costrette a matrimoni combinati e a un ruolo subordinato dentro un modello patriarcale. Sotto attacco oggi non ci sono solo i curdi ma anche il loro modello di democrazia, perché si teme che si espanda in Medio Oriente.

L’EUROPA COMPLICE DEGLI ORRORI
Un’inchiesta condotta dai media danesi Politiken e Danwatch, in collaborazione con l’Espresso e il consorzio investigativo EIC, ha rivelato che l’Unione europea ha fornito oltre 80 milioni di euro al Governo di Ankara non finalizzati agli aiuti umanitari per i profughi siriani ma all’acquisto di mezzi militari blindati, apparecchi per la sorveglianza e navi per il pattugliamento delle frontiere. Risorse destinate a blindare i confini e a bloccare i migranti in Turchia perché non vengano in Europa: anche se in base alle leggi internazionali è vietato respingere i rifugiati. Chi cerca di fuggire dalle stragi in corso in Siria si trova invece, lungo gli oltre 800 chilometri del confine con la Turchia, un muro di ferro e di cemento alto tre metri e mezzo, pattugliato notte e giorno da mezzi militari e controllato con tecnologie all’avanguardia. A pagare sono i migranti e il popolo curdo, contro cui la Turchia combatte anche con questi sistemi bellici che le ha donato l’Unione europea. Ad Afrin c’erano i mezzi corazzati pagati con i nostri soldi, i Leopard tedeschi e i Mangusta italiani; e gli elicotteri italiani Agusta Westland. In Turchia l’Italia ha schierato dal giugno 2016 una batteria missilistica per proteggere i confini turchi: il Samp-T, un’arma sofisticata dal prezzo stratosferico, progettata da un consorzio di cui Leonardo (ex Finmeccanica) ha una quota significativa. E c’è un nostro contingente, che ci costa 12 milioni l’anno.

Iraq, Mexmur: il popolo curdo    (2015)    (foto Marco Rovelli)

Iraq, Mexmur: il popolo curdo
(2015) (foto Marco Rovelli)

UN PAESE DELLA NATO ALLEATO CON LA RUSSIA
L’Europa sta sbagliando tutto con la Turchia come ha sbagliato tutto con la Siria. Poco dopo l’inizio della rivolta popolare tutti pensavano che Assad avrebbe fatto la stessa fine dei dittatori di Tunisia, Egitto e Libia. La Turchia, Paese aderente alla Nato, fu in prima fila ad attaccare Assad ma favorì l’Isis: l’importante era che i jihadisti contrastassero i curdi di Kobane. Quindi alle forze democratiche si aggregarono, contro il regime siriano, forze del fondamentalismo islamista. Poi è intervenuta la Russia a favore di Assad, contro tutti i suoi oppositori, e quando Erdogan ha capito che l’Occidente non sarebbe intervenuto per far fuori Assad, ha cambiato rotta e si è alleato con la Russia, con Assad e con l’Iran alleato di Assad. L’Europa veniva intanto “trattenuta” grazie all’accordo “io mi tengo i migranti e tu mi paghi”. Volevamo la democrazia a Damasco ma abbiamo ancora Assad, c’è una mattanza in corso, il potere della Russia è aumentato e la Turchia, Paese Nato che ospita i missili americani puntati contri la Russia e l’Iran, è sempre meno democratica, sempre più lontana dall’Occidente e sempre più alleata alla Russia e all’Iran. Mentre gli Stati Uniti, che avevano sempre difeso i curdi, con Trump ad Afrin hanno lasciato fare. Trump vorrebbe ritirarsi dall’area -secondo lui agli Usa basta l’accordo di ferro con Israele e Arabia Saudita-, ma pare che il Pentagono non la pensi così. Vedremo che accadrà nelle prossime settimane, quando Erdogan proseguirà l’opera di massacro dei curdi, oltre Afrin.

L’IMPORTANZA DELLA CULTURA
Il melograno, nella tradizione curda, è un simbolo di solidarietà e di eguaglianza. Nel nuovo romanzo dello scrittore curdo Bachtyar Ali “L’ultimo melograno” diventa metafora della resistenza curda. Il protagonista, Mutafari, sopravvive a 21 anni di prigionia anche grazie a un messaggio scritto che riceve, una volta all’anno, da un compagno lontano. La scrittura è un atto di resistenza. Più in generale lo è la cultura. Oszlem Tanrikulu, Presidente di Uiki, l’ufficio di informazione del Kurdistan in Italia, ha detto, dopo il massacro di Afrin: “Non fermeranno mai il nostro progetto politico… E’ impossibile annientare solo con un attacco fisico un sistema che si è costruito sulla cultura”. Anche a noi serve la cultura: informarsi, cercare di capire ciò che succede è già un atto politico. Se lo faremo, capiremo che invece che dire “siamo invasi” e “aiutiamoli a casa loro” conviene dire “aiutiamo le vittime, non i carnefici” (Roberto Saviano, “L’Espresso”, 3 aprile 2018).

Post scriptum: le foto pubblicate oggi sono state scattate da Marco Rovelli a Mexmur, nel Kurdistan iracheno. Su “La guerriera dagli occhi verdi” di Marco Rovelli rimando a questi testi:
* Di resistenza in resistenza – Giorgio Pagano e Marco Rovelli
* Marco Rovelli presenta “La guerriera dagli occhi verdi”

lucidellacitta2011@gmail.com

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