Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Spezia, classe dirigente cercasi

a cura di in data 29 Luglio 2016 – 15:12
SaoTomè, spiaggia di Boca Bela    (2016)    (foto Giorgio Pagano)

SaoTomè, spiaggia di Boca Bela
(2016) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 24 luglio 2016 – La nostra città sta vivendo un mutamento radicale nella formazione della classe dirigente, paragonabile a quello che travolse la sua forma notabilare-liberale all’inizio del XX secolo. La crisi di quella élite politica portò al fascismo, e fu superata solo con la Resistenza e il secondo dopoguerra: cioè con la democrazia rappresentativa fondata sui partiti politici di massa, che dagli anni della ricostruzione fino alla prima parte degli anni ’80 seppero selezionare una buona classe politica, che era parte integrante di una classe dirigente più ampia, comprendente l’élite espressa dai mondi economici e sociali. I partiti politici spezzini -prima governò la sinistra Pci-Psi, poi l’alleanza di centrosinistra tra Dc e Psi, poi nuovamente la sinistra- organizzarono le schiere crescenti degli iscritti e degli elettori, costituirono sedi permanenti sul territorio divenute luoghi di socializzazione e di discussione, si dotarono di una gerarchia che dal basso arrivava alle élite passando attraverso una struttura di quadri intermedi; forti di questo autonomo radicamento seppero fare alleanze strutturali con le forze economiche e sociali. Non era la sovranità del popolo vagheggiata da Rousseau, ma nondimeno una partecipazione alla cosa pubblica di un popolo orientato e diretto dai capi, alla Machiavelli.

Fu una fase ricca di risultati per il cambiamento della città: lo sviluppo del porto, la difesa delle colline, i servizi, il welfare, il verde urbano, l’edilizia residenziale pubblica… Questa fase arrivò fino al 1992, poi terminò con la crisi dei vecchi partiti della prima Repubblica. Le Giunte successive appartengono a un’altra fase: quella della seconda Repubblica, dell’elezione diretta dei Sindaci, del tentativo di dar vita a una sinistra nuova, anche per il cambiamento delle sue radici sociali, soprattutto nel mondo del lavoro. In questa fase sono stato per quattro anni il principale collaboratore del Sindaco Lucio Rosaia, poi Sindaco per un decennio. Che successe? I partiti diventarono sempre meno il luogo dove elaborare un progetto collettivo e un sistema di idee condivise, da cui partire per dar vita al patto con la classe dirigente “allargata”; e sempre più si trasformarono in assemblaggi di cordate per conquistare le cariche elettive. Reagii adoperando, come strumento per lo sviluppo della città, la pianificazione strategica condivisa: un modo di governare che mette in relazione le istituzioni con tutti gli attori sociali e favorisce una larga partecipazione. Mi servì per trovare quella connessione con il popolo e quella alleanza con le forze economiche e sociali che i partiti non mi garantivano più. In questa fase nuova -caratterizzata dalla crisi della monocultura industriale e dalla costruzione di un nuovo modello di sviluppo fondato sul mare e sulla centralità, accanto all’industria, del porto e del turismo- i risultati del “buongoverno” locale, pur tra tanti difetti, non mancarono. E la classe dirigente in gran parte si rinnovò, con una selezione avvenuta proprio nel vivo della discussione “strategica” e della ricerca della condivisione.

Negli anni seguenti la “Grande Crisi” dell’economia mondiale, il fallimento della seconda Repubblica e la crisi della democrazia rappresentativa hanno aperto una fase molto diversa: soprattutto in termini di partecipazione e di condivisione. Ma una classe politica che non operi come elemento integrante della classe dirigente perde di autorevolezza e alla fine appare “illegittima”. Il distacco tra i cittadini e i partiti, e tra i cittadini e il Comune, è aumentato vertiginosamente. I partiti -sempre più scatole vuote utilizzate solo per scegliere i candidati- il Sindaco e la Giunta si sono come rinchiusi nella cittadella del potere, senza riuscire a intercettare domande, bisogni, paure. I risultati elettorali -dall’astensionismo alla perdita dei voti del Pd, il partito di governo- parlano da soli. La classe dirigente, sempre più autoreferenziale, chiusa, impenetrabile, è implosa, dividendosi al suo interno. Il Pd è lacerato tra fazioni l’un contro l’altra armata, le stesse istituzioni sono in forte competizione tra loro, senza un’idea condivisa di città. Le persone sono sempre le stesse, perché non c’è ricambio: ma nell’”oligarchia dei giri” il litigio è perenne. Il Presidente dell’Autorità Portuale è di fatto il Sindaco della linea di costa, il Presidente della Fondazione Carispezia è di fatto il Sindaco della cultura e del welfare (e, nel bene e nel male, è l’unico che istituisce tavoli di progettazione condivisa). Leggiamo una presa di posizione proprio di Matteo Melley: “Si è perso quel clima che era stato faticosamente creato per lo sviluppo della città. Quando il confronto è giornalistico l’obiettivo non è la ricomposizione delle questioni, ma ottenere il massimo della visibilità possibile. Non è sui giornali che si fa politica, ma nella quotidianità. L’atmosfera si è deteriorata. Invece serve più che mai una sintonia sul tema: siamo una realtà ancora marginale nel panorama nazionale, possiamo emergere solamente se su alcune questioni si riesce a imboccare una strada univoca. Promostudi (non a caso creata negli anni della pianificazione strategica, NdR), in questo senso, è un ottimo esempio di dialogo e composizione” (“Città della Spezia”, 12 febbraio 2016).

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Siamo in piena crisi democratica. Non solo per il consolidato livello di astensioni che portano a eleggere un sindaco con il 20% degli aventi diritto al voto, ma anche perché le tradizionali forme di governo appaiono sempre più lontane. La crisi della democrazia rappresentativa spinge verso la democrazia diretta e partecipativa. Si torna a parlare perfino della rotazione delle cariche, aspetto tipico della “democrazia” ateniese. Anche così si spiega il successo dei Cinque Stelle. A Barcellona è diventata Sindaca Ada Colau, espressione di una coalizione civica e sociale, che così sintetizza il senso del suo mandato: “Decentrare il potere, dare sempre alla cittadinanza l’ultima parola. Quanto più si tenta di impedire ai cittadini di esprimersi, tanto peggio sarà, sempre”. Una coalizione simile ha portato alla guida del Comune di Madrid un’altra donna, Manuela Carmena, che dice: “Le città possono mettere fine all’apatia democratica”, che è “il veleno della democrazia”. Ma quella del rilancio partecipativo è solo una delle risposte possibili. L’altra risposta è quella della frammentazione. Significa una scomposizione progressiva dei vecchi gusci partitici e degli interessi che li amalgamavano; mancanza di una visione unificante della città; conflittualità generalizzata ma senza sbocchi; e fuga verso microidentità che impediscono di guardare al bene comune. Di questa involuzione, Spezia è oggi specchio fedele. Vale anche per la nostra città quanto lo storico Massimo Salvadori lamenta per il Paese: “Oggi il popolo è disperso, come abbandonato; i partiti sono le ombre del loro passato, e, divenuti liquidi, lasciano liquide le masse, che guardano da una parte o dall’altra in preda a rapidi e ampi ondeggiamenti, immiserite dai messaggi che ricevono da leader scadenti, chiacchieroni, molti dei quali incapaci di tenere la penna in mano”. Leader che producono “elettori senza patria”, sempre più “nomadi” e senza bandiere.

Sao Tomè, chiesa della roça Agostinho Neto (struttura già coloniale)    (2016)    (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, chiesa della roça Agostinho Neto (struttura già coloniale) (2016) (foto Giorgio Pagano)

Come e quando porre rimedio a questa situazione è difficile saperlo. Servono certamente nuovi partiti, ma questi saranno possibili solo se ci sarà una rinnovata spinta della società civile, uno “scatto” personale, culturale e sociale. Bisogna riaprire al più presto un dibattito libero su cosa deve diventare Spezia. Manca oggi un’anima, una prospettiva condivisa. Mi sono battuto per anni per sviluppare la vocazione turistica della città. Ma su questo ha ragione il Ministro Orlando: “Non riesco a pensare a una classe dirigente fatta solo di persone che vivono di B&B” (“Città della Spezia, 22 luglio 2016). Il ritenere che il turismo fosse la sola risorsa è stato un profondo inganno di molte città d’Europa; e i partiti e i Sindaci che l’hanno sostenuto hanno fatto la fine che hanno meritato tanto in Spagna che in Francia che in Italia. La riflessione su quale industria e su quale porto è dunque decisiva. Ma altri temi chiave incombono. Ne cito solo due. Il primo: le diseguaglianze sono cresciute in una città che oggi è molto più spaccata di un decennio fa. Come ridurre la distanza tra la città dei ricchi e la città dei poveri? Con quali politiche urbanistiche, culturali e sociali? Leggiamo ancora Ada Colau: “Abbiamo approvato un piano per i quartieri da 150 milioni per ridare dignità a 15 quartieri più colpiti dalla diseguaglianza. Abbiamo aumentato l’Ici al 2% più ricco. Abbiamo sfidato l’austerità del Ministro delle Finanze per aumentare i servizi educativi e sociali. Abbiamo progettato 2000 appartamenti sociali…”. Il secondo tema è questo: se noi consideriamo la città come un ecosistema, l’intera visione politica e programmatica cambia. Leggiamo quanto dice Paolo Berdini, neo assessore all’urbanistica del Comune di Roma: “L’Ispra afferma che a causa della cementificazione la temperatura aumenta di 0,6 gradi ogni venti ettari di terreno edificato. Sono più di dieci giorni che le temperature della città si attestano sui 40 gradi e ogni attività umana, dal lavoro alla normale vita degli anziani, risente oltre modo di questo fenomeno. Per combattere il cambiamento climatico in atto occorre coraggio: invece di espandere ancora la città occorre avviare una gigantesca opera di riforestazione urbana”. Sono questi i temi su cui sviluppare una grande riflessione partecipata. Ed è sulla base di questo dibattito pubblico che dobbiamo scegliere non solo il nuovo Sindaco ma la nuova classe dirigente della città. Tocca a noi cittadini, non deleghiamo ad altri. Un frammento del filosofo Eraclito ammonisce, da oltre 2500 anni: “I dormienti sono artefici delle cose che accadono nel mondo, e aiutano a produrle”. Anche agli uomini pigri e inerti vanno imputati gli errori della storia, poiché tutti siamo attori, e nessuno è semplice spettatore.

lucidellacitta2011@gmail.com

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