La brigata dei sarzanesi – prima parte
Città della Spezia, 19 aprile 2015 – Oggi, per il 70° anniversario della Liberazione, sarò a Calice, al Museo dedicato alla Brigata “Val di Vara” della Colonna “Giustizia e Libertà”, e poi alla “camminata partigiana” organizzata dall’Anpi Chiappa nei sentieri dei colli spezzini. Quindi, per una volta, non potrò partecipare a “Percorsi della Resistenza”, la bella camminata sui sentieri partigiani della Val di Magra organizzata ogni anno dall’Anpi Sarzana. Proprio per questo dedico la rubrica di oggi ai partigiani sarzanesi e alla brigata garibaldina “Ugo Muccini”: una formazione tra le più combattive, a me molto cara perché alcuni tra i suoi capi -Flavio Bertone “Walter”, Anelito Barontini “Rolando” e Paolino Ranieri “Andrea”- sono stati tra i miei “maestri”. Importanti quanto i miei insegnanti a scuola e all’università, e poi quanto gli operai delle fabbriche: i tre “mondi” che mi hanno formato.
La Brigata “Muccini” prende il nome da un comunista arcolano morto eroicamente combattendo nella guerra di Spagna, e si costituisce formalmente a fine estate 1944. Ma la sua storia comincia prima, con le formazioni che la precedettero. La “Muccini” fu essenzialmente emanazione della sezione sarzanese del Pci, con una fisionomia decisamente politica e classista. Espressione, dunque, come scrisse Giulivo Ricci nella sua “Storia della Brigata garibaldina Ugo Muccini”, “di un gruppo abbastanza omogeneo… unico nell’intera provincia della Spezia, ove altri gruppi esistettero, affondanti le radici negli anni del ventennio, ma meno forti, meno omogenei, meno dotati di coesione e di coerenza nell’azione, e perciò più esposti ai pericoli della divisione, dell’incertezza, della mancanza di direzione unitaria”. Leggiamo ancora Ricci: “Non esisteva iattanza od ostentato senso di superiorità; certo, non difettava in molti la coscienza, non già di essere migliori, ma di essere stati posti in grado, dalle circostanze e dalla volontà, di conseguire una capacità di valutazione degli avvenimenti e un’organizzazione quali non sempre e non subito altri seppero promuovere”. Non a caso decine e decine di “quadri” usciti dalle file della “Muccini” si affermarono negli organismi democratici, istituzionali e sociali, della Val di Magra e della provincia, e anche nel Parlamento e nel Pci nazionale. Ricci mette in evidenza il contributo alla “Muccini” e alla Resistenza in generale anche di Arcola e degli altri Comuni della Val di Magra, Santo Stefano soprattutto, il cui apporto non fu secondo a nessuno in termini quantitativi, anche se con “le manchevolezze e i punti deboli” dell’individualismo ribellistico e protestatario dell’”incolto proletariato rurale e operaio santostefanese”, di cui era tipica espressione Primo Battistini “Tullio”, uno dei capi della “Muccini”. Il suo antifascismo, scrive Ricci, “era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente ai freni” che i comunisti sarzanesi “avrebbero voluto a buon diritto imporre”. Una figura, quella di “Tullio”, su cui mi sono già soffermato ripercorrendo la storia del Battaglione “Vanni” (si veda, in questa rubrica, “Il Battaglione Vanni, una storia ancora da raccontare”) e su cui tornerò nelle prossime settimane, sulla base della lettura delle sue memorie e di testi inediti. Compì azioni eroiche ma commise anche molti errori, che pagò. E’ una figura su cui fare più luce. Così come, anche in questo caso sulla base di testi inediti, approfondirò la vicenda politica e umana di un altro capo della Resistenza spezzina, poi dimenticato, Renato Jacopini: ne ho scritto nei vari articoli sul caso “Facio”, ma il suo contributo come esperto militare e il suo spessore intellettuale (era un ragioniere, per l’epoca appunto un intellettuale) meritano un approfondimento e una riflessione che finora non ci sono mai stati.
Ma torniamo alla complessa storia della “Muccini”, aiutati dal Ricci e dalla voce dello “Stradario” dell’Istituto Storico della Resistenza spezzina, straordinario strumento per la memoria presentato proprio nei giorni scorsi (la scheda sulla “Via Brigata Partigiana Ugo Muccini” a Sarzana è di Maria Cristina Mirabello). Nella bassa Val di Magra le prime azioni, subito dopo l’8 settembre 1943, furono compiute dai sarzanesi Paolino Ranieri e Dario Montarese “Brichè” alle Prade di Falcinello e da “Tullio” a Caprigliola. Ma alla fine del ’43 la possibilità di rappresaglie operate su quei territori dai repubblichini si fece più pesante, e venne deciso il trasferimento di questi primi nuclei di ribelli al Trambacco di Tresana, in Lunigiana. Neppure lì, però, c’erano le condizioni della permanenza. Un gruppo, costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, decise di rifugiarsi a Zerla di Albareto (Parma), a nord del Monte Gottero: oltre a Ranieri e a Montarese c’erano Goliardo Luciani, Guglielmo Vesco, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Ma sulle loro tracce c’erano i fascisti: da qui lo spostamento a Popetto di Tresana e poi a Vallecchia, sopra Castelnuovo Magra. E’ qui che si aggregò alla formazione il giovane marinaio sarzanese Flavio Bertone. Dal Trambacco, invece, una decina di uomini capeggiati da “Tullio” si spostarono più in alto, alle Prede Bianche, valico tra Val di Magra e Val di Vara, dove il 30 gennaio 1944 furono sorpresi dai tedeschi e sopraffatti. Si salvarono solo grazie all’audacia di “Tullio” e di Angelo Tasso “Parma”, che poi fu quasi sempre commissario politico con “Tullio”, e si recarono a Valmozzola, nel parmense, a rafforzare la “Banda Betti”, formazione guidata da Mario Betti, a cui si aggregarono anche molti antifascisti arcolani. Il 13 marzo del 1944 fu il giorno dell’attacco al treno di Valmozzola, con la morte di Betti e il successivo massacro dei partigiani sul monte Barca (si veda “Il coraggio della libertà e la buona politica”, in “Il Secolo XIX”, 11 aprile 2010, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com). “Tullio” subentrò nel comando a Betti, ma dopo qualche tempo venne messo in minoranza a causa dei suoi metodi di conduzione. Nacque il distaccamento “Mario Betti”, con il reggiano Ezio Saccani “Renzo”, che era stato con i fratelli Cervi, comandante, e lo spezzino Mario Portonato “Claudio” commissario politico. Poi gli spezzini si ricongiunsero, sempre con “Tullio” comandante. Ranieri e altri si erano spostati nel parmense, a Bardi, insieme agli uomini fino ad allora rimasti con Vesco e Bertone a Vallecchia. Qui si ripropose la questione di “Tullio”, che si convinse di dover abbandonare il comando e la zona, e si spostò nello zerasco, dando vita al raggruppamento “Signanini”, poi, da fine luglio 1944, Brigata “Vanni”. Il comando fu assunto da “Walter”, con “Andrea” commissario politico. Il gruppo, unito alla XII Brigata Garibaldi “Parma”, fu protagonista della costituzione della “zona libera” del Ceno, una tra le prime, se non la prima, in Italia (10 giugno 1944): gli spezzini eseguirono la parte forse più importante dell’azione, la liberazione di Bardi. Walter e i suoi compagni mi hanno sempre raccontato la loro delusione quando furono invitati dalle famiglie bardigiane, nel pomeriggio, a festeggiare: non c’era il vino, ma il tè, perché i bardigiani erano stati in Gran Bretagna per lavoro, e avevano assimilato le loro abitudini! Intanto nasceva anche la “zona libera” del Taro, grazie anche alla nostra Brigata “Cento Croci”. Ma, nei giorni successivi, i nazifascisti passarono all’offensiva: prima il libero Stato partigiano del Taro, poi quello del Ceno furono sconfitti. Il 15 luglio iniziò lo sganciamento dei partigiani da Bardi. Il rastrellamento nella valle sarebbe durato fino al 29 luglio.
Dopo l’arrivo a Roma degli alleati, il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N) della Spezia chiese, verso il 10 luglio, che il gruppo di Bertone e di Ranieri rientrasse nella zona di Sarzana, alla Nuda di Falcinello. Qui arrivò, dopo varie vicissitudini, ai primi di agosto, un altro gruppo di partigiani, comandato da Piero Galantini “Federico”, anche lui sarzanese, democratico non ancora comunista, proveniente da una vecchia famiglia antifascista. “Federico” era stato probabilmente il comandante della Brigata “37B”, dissolta da un grande rastrellamento: dalle sue radici nacque la Brigata garibaldina “Leone Borrini”. Membro della “37 B” e poi comandante della “Borrini” fu Edoardo Bassignani “Ebio”, di Merizzo, comunista e libertario, ucciso nel cuore del paese, alla presenza della madre, il 3 febbraio 1945. Con la fine di luglio 1944 aumentò nella bassa Val di Magra l’affluenza di partigiani: si pose la questione dell’unità dei tanti distaccamenti. Nacque così, il 19 settembre 1944 nel bosco di Faeta sopra Falcinello, la Brigata “Muccini”, con “Federico” comandante, “Walter “ vice e Dario Montarese “Brichè” commissario. “Andrea” divenne Ispettore per il Pci delle brigate garibaldine. Con il parere contrario del Comandante della Divisione Mario Fontana e del C.L.N “Tullio” rientrò nella “Muccini”, dopo che era stato estromesso dal comando della “Vanni”. Aveva con sé 200 uomini, perché “Tullio” continuava ad avere un grande fascino sui giovani, che si dichiaravano quasi tutti comunisti. Ranieri era però contrario al reinserimento di “Tullio” come comandante di uno dei distaccamenti della “Muccini”. Esso avvenne per volontà di Pietro Perpiglia, dirigente del Pci (che per questo fu censurato nel dopoguerra). Aderì alla “Muccini” anche il gruppo di Lindo Galletto “Orti”, di sinistra ma senza un vero legame con il Partito Comunista: un’autonomia ideologica e anche organizzativa, che rimase una caratteristica costante del gruppo.
Il comando di brigata si insediò a Canepari, nella scuola. L’unità delle bande della Val di Magra era un fatto positivo ed esaltante. Ma aveva un punto di debolezza: la ristrettezza del territorio, la sua accessibilità da ogni lato. La “Muccini” non era in montagna, ma in colline esposte alle facili avventure dei nazifascisti. Questo punto di debolezza, purtroppo, venne alla luce durante il grande rastrellamento del 29 novembre 1944. Ne scriveremo domenica.
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