La preghiera forza della pace
Città della Spezia, 1° giugno 2014 – In occasione dello scorso Natale l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) ha prodotto un filmato di animazione, visibile su You Tube con il titolo “Stand up for hope, peace and justice in Palestine”. In vista del viaggio di Papa Francesco, quello tenutosi nei giorni scorsi, mostrava il Papa che si aggira in una Palestina intristita dall’occupazione israeliana, tra fili spinati, posti di blocco e coloni armati. Poi, con la semplice forza del suo messaggio spirituale, Francesco supera il Muro di separazione, la barriera di cemento costruita da Israele intorno a tutta la Cisgiordania palestinese, e da Gerusalemme raggiunge finalmente Betlemme.
In realtà il Pontefice è volato in elicottero a Betlemme, territorio palestinese, da Amman in Giordania, e in questo modo ha evitato (è stato costretto a evitare) di arrivare da Gerusalemme, attraverso i posti di blocco israeliani e il Muro. Così come al ritorno, da Betlemme, il Papa ha ripreso l’elicottero per raggiungere l’aeroporto di Tel Aviv, e da lì Gerusalemme, dove avrebbe potuto arrivare in macchina da Betlemme in cinque minuti. E tuttavia, appena arrivato in elicottero dalla Giordania a Betlemme, mentre si trasferiva con la papamobile verso la Piazza della Mangiatoia, dove c’è la Basilica della Natività, Bergoglio ha fatto fermare il corteo di auto e ha voluto toccare con le mani e la fronte il Muro. Un gesto certamente non previsto dalla diplomazia vaticana, tantomeno da quella israeliana. Il Muro taglia Betlemme in due, soffoca l’abitato e lo separa dalle sue campagne. E’ in gran parte coperto da graffiti -di “street artists” palestinesi ma anche di celebri star internazionali come Banksy – e di scritte, di cui una recentissima in inglese era rivolta a lui: “Papa, abbiamo bisogno di qualcuno per parlare di giustizia”. Un gesto semplice, ma di grande effetto simbolico ed emotivo. “Fermandosi davanti al Muro e poggiando le sue mani”, ha commentato commosso Ashrafal-Ajrami del Comitato palestinese di accoglienza, “il Papa ha posato la sua mano sul dolore quotidiano che è vissuto dal popolo palestinese”.
Conosco molto bene Betlemme, anche per aver lavorato negli scorsi anni al suo Piano strategico. Qualche turista che vi si reca per il Natale può pensare che la città respiri, che conosca uno sviluppo. In realtà, fino a quando ci sarà il Muro, e le forze di occupazione israeliane continueranno a decidere chi entra e chi esce dalla città, lo sviluppo economico e turistico di Betlemme sarà limitato, perché il numero dei turisti, pur in lenta crescita negli ultimi anni, sarà largamente al di sotto delle potenzialità. Betlemme ha 3.800 camere (quasi la metà della capacità degli hotel in tutta la Cisgiordania), ma il tasso di occupazione non è distribuito uniformemente durante tutto l’anno, e per molti mesi le camere restano vuote. I ristoranti, poi, sono straordinari per qualità: ce ne sono di molti tipi, anche con le specialità di tutto il mondo, grazie ai cuochi palestinesi formati alla scuola dei francescani a Gerusalemme. Il problema è che molti turisti lasciano la città al massimo dopo un paio d’ore: i pacchetti turistici stabiliti alla partenza portano turisti e pellegrini a Betlemme giusto quel paio d’ore, e poi li rimandano indietro a Gerusalemme senza che spendano nei negozi e nei ristoranti palestinesi. Senza contare che ci sono 150 israeliani autorizzati a lavorare come guide turistiche a Betlemme.
Bergoglio, nei giorni scorsi, è stato davvero vicino a Betlemme, e a tutta la Palestina. Dopo la messa nella Piazza della Mangiatoia è entrato nella Basilica a visitare la Grotta, poi ha pranzato frugalmente con quattro famiglie palestinesi nell’ostello dei francescani e ha incontrato un gruppo di bambini del campo profughi di Betlemme. Ma leggiamo le sue parole: “Costruire la pace è difficile. Ma vivere senza è un tormento. Lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E il popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente”. Parole ferme e coraggiose, a cui ha fatto seguito l’invito al Presidente palestinese Abu Mazen e a quello israeliano Shimon Peres l’8 giugno a Roma, a Santa Marta: “Offro la mia casa in Vaticano per un incontro di preghiera”. Sarà un giorno di grande speranza per cercare di riannodare le fila di un dialogo di pace che al momento è finito in un binario morto. Anche se Peres è solo il Presidente della Repubblica, per giunta in scadenza due giorni dopo, mentre il potere vero è nelle mani del Primo Ministro Netanyahu, purtroppo avversario della pace. Non a caso il Papa, all’arrivo a Gerusalemme, ha abbracciato Peres e si è limitato a una formale stretta di mano con Netanyahu.
A Gerusalemme Bergoglio ha visitato la moschea della Cupola della Roccia. Il Gran Muftì gli ha detto: “Santità, la pace non potrà esservi finché rimane l’occupazione. Da Gaza non possono venire a pregare in questo che è il terzo luogo santo dell’Islam. Vi chiediamo di interessarvi per i più di 5.000 prigionieri nelle carceri israeliane”. Proprio alla liberazione dei prigionieri palestinesi, e in particolare del loro leader carismatico Marwan Barghouti, è stata dedicata l’ultima iniziativa del Comitato spezzino Dialoghi di Pace in Medio Oriente e del Coordinamento Freedom Flotilla La Spezia e Massa Carrara (per la documentazione si veda il sito www.associazioneculturalemediterraneo.com). La crisi dei negoziati è dovuta anche al rifiuto israeliano di liberare i prigionieri, in carcere senza accuse e senza processo. L’altra grande responsabilità di Israele nel sabotaggio dei colloqui di pace è stata quella di aver proseguito l’opera di colonizzazione forzata della Cisgiordania: dall’avvio di questa ultima tappa dei negoziati (luglio 2013) il Governo Netanyahu ha fatto avanzare progetti per 7.302 alloggi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, la parte araba, e ha lanciato gare d’appalto per altre 4.460 unità abitative. 350.000 coloni ebrei vivono in insediamenti costruiti in violazione del diritto internazionale in Cisgiordania, altri 200.000 nella zona occupata di Gerusalemme.
Sembra tutto maledettamente difficile, purtroppo non si intravvede una via d’uscita. Anche se c’è un grande fatto nuovo: l’unità palestinese, siglata nelle scorse settimane tra Fatah, che governa in Cisgiordania, e Hamas, che governa a Gaza, da cui dovrebbe nascere, lunedì, un Governo di unità nazionale. Fa sperare poi lo sviluppo di forme di resistenza civile e nonviolenta da parte dei palestinesi. Come quella a Beit Jala, piccolo villaggio a pochi chilometri da Betlemme, contro la costruzione del Muro che impedirà l’accesso dei palestinesi ai propri oliveti e distruggerà una pineta: ogni venerdì gli abitanti si ritrovano nella pineta per pregare, un modo nonviolento per rivendicare la proprietà della loro terra. E fa sperare anche la presenza, nonostante tutto, di tante voci critiche in Israele contro l’occupazione. Ma ora la speranza è soprattutto nell’incontro del Papa, di Abu Mazen e di Peres l’8 giugno in Vaticano. Sarà un incontro di preghiera, non un vertice per negoziare. Ma sarà comunque un fatto straordinario, che dimostra come Francesco sia oggi il più grande leader globale. Ricordiamoci come la giornata di preghiera e di digiuno per la Siria promossa da Francesco lo scorso settembre fece sì che fosse evitato l’intervento militare americano in quel Paese. Chissà, l’incontro dell’8 giugno potrebbe spingere Barack Obama e il Segretario di Stato John Kerry a fare di più per conquistare la pace… E potrebbe creare un “sussulto” nuovo nella Terra Santa. La testimonianza religiosa può fare molto: la preghiera è forza della pace, compromette le persone che vi partecipano e diventa impegno di azione.
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