Reddito minimo per tutte e per tutti
Città della Spezia – 28 Ottobre 2012 – Anche nella nostra città si è costituito un comitato che sostiene la campagna per il reddito minimo garantito. Vi aderiscono forze politiche, associazioni e soprattutto giovani. Si tratta di una campagna nazionale, nata intorno a una proposta di legge di iniziativa popolare che intende istituire anche nel nostro Paese una garanzia per il reddito per coloro che sono precari, disoccupati e inoccupati, oggi soprattutto giovani e donne, ma non solo: cresce infatti il numero dei precari non più giovani. I numeri che ogni giorno vengono presentati dagli enti di statistica e di ricerca raccontano di un Paese sull’orlo del disastro sociale, e spingono a prendere questa misura, a definire cioè una base economica sotto la quale nessuno deve più stare.
Secondo la proposta di legge i beneficiari del reddito minimo garantito sono tutti gli individui (inoccupati, disoccupati, precariamente occupati) che non superano gli 8.000 euro annui. L’ammontare individuale del beneficio è di 7.200 euro annui, pari a 600 euro mensili. Lo scopo è quello di garantire la dignità della persona, contrastando il rischio della marginalità, della ricattabilità, dello schiavismo e del lavoro nero. Non è una semplice misura assistenziale, ma un’opportunità, in particolare per i giovani. Di fronte al dramma, esistenziale prima che economico, della loro condizione, il reddito minimo è la prima terapia concreta, al di là delle chiacchiere. Non è la panacea di tutti i mali, ma lo strumento che può permettere ai giovani di guardare al futuro, di scatenare energie e di non rassegnarsi.
La proposta è tutta dentro l’iniziativa più generale per il rilancio delle fondamenta del modello europeo di welfare, minato dalle politiche neoliberiste di questi anni. Nel 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per i Paesi europei, in particolare l’Italia: il 42,5% della popolazione del nostro Paese era a rischio negli anni a venire. Eurostat suggeriva “interventi e misure di sostegno al reddito”. Non a caso tutti i Paesi europei, con esclusione di Italia, Grecia e Ungheria, hanno forme di reddito di base. Ora che purtroppo quelle previsioni si stanno avverando, dobbiamo anche nel nostro Paese fare qualcosa a sostegno dei più deboli. Anche perché il nostro welfare “familistico” -genitori e nonni che aiutano figli e nipoti- regge di meno sotto i colpi della crisi. E sempre meno reggerà in futuro.
Certo, si tratta di una proposta molto innovativa. Io ho, come molti, una cultura “laburista”: per molti anni ho pensato che se una persona non lavora non ha diritto al reddito (se non come sussidio per i periodi di disoccupazione). Ma la “Grande crisi” del 2008 mi ha fatto cambiare idea (si veda il mio articolo sul Secolo XIX dell’aprile 2011 “Le generazioni distrutte da vent’anni di liberismo”, leggibile nel sito www.associazioneculturalemediterraneo.com). Gli ammortizzatori sociali esistenti -ecco la questione- sono rivolti ai lavoratori impiegati con un rapporto stabile e continuativo, non ai precari. E i tanti precari che perdono il posto di lavoro non hanno nessuna forma di sostegno al reddito! Ecco perché dobbiamo intervenire. Un altro problema emerso con la crisi è la difficoltà dei figli delle famiglie più povere a pagare i costi per proseguire gli studi: il reddito minimo, in questo caso, sarebbe un potente strumento contro le diseguaglianze sociali.
C’è da rispondere, infine, alla questione dei costi, troppo elevati secondo qualcuno. La risposta è: riduzione selettiva della spesa pubblica (ho ricordato domenica scorsa lo scandalo del costo dei cacciabombardieri F35), patrimoniale sulle grandi ricchezze, lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Il rigore deve valere per tutti, soprattutto per chi ha di più.
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